Il 23 luglio scorso è entrata in vigore la legge comunitaria per il 2016, che contiene disposizioni varie, emanate per ottemperare a direttive o a sentenze comunitarie e per prevenire procedure di infrazione.

La legge in questione contiene una sola norma in materia di diritto lavoro ed è quella che riscrive il comma 3 dell’art. 29 del D.Lgs. 276/2003, così escludendo l’applicazione dell’art. 2112 c.c. nell’ipotesi di “cambio di appalto” solo in presenza di determinate condizioni.

Questo il testo precedente:

L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda.

Così il nuovo comma 3:

L’acquisizione del personale già impegnato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale o di clausola del contratto di appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento di azienda o di parte di azienda.

Si consideri che la Commissione Europea aveva avviato una procedura di pre – infrazione contro l’Italia, sostenendo che il comma 3 dell’art. 29 fosse in contrasto con i principi della Direttiva 2001/23/E, non potendo la legge italiana escludere dalla disciplina garantistica prevista per i lavoratori nelle ipotesi di trasferimento di azienda o ramo di essa casistiche ad esso assimilabili, tra le quali il cambio di appalto.

Il mantenimento dei diritti dei lavoratori nel cambio di appalto dopo il 23 luglio 2016

Benchè il Governo abbia presentato al Parlamento nel disegno di legge comunitaria una norma del tutto rispondente alla richiesta della Commissione Europea, prevedendo l’abrogazione del comma 3, le Camere hanno di fatto contemperato le prescrizioni comunitarie con la ritenuta specialità della fattispecie del cambio di appalto rispetto alla disciplina del trasferimento d’azienda, emanando la disposizione di legge in esame.

Dunque, il legislatore italiano ha escluso dall’ambito di applicazione dell’art. 2112 c.c. le ipotesi in cui i dipendenti dell’appaltatore uscente passano alle dipendenze dell’appaltatore subentrante non in ogni caso, ma solo se il subentrante ha una “propria struttura organizzativa e operativa” e se sono “presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa”.

Concretamente sarà la giurisprudenza a dare luogo ad interpretazioni non univoche delle due condizioni poste dal legislatore, che in ogni caso devono coesistere.

Rimane fermo che, se l’imprenditore subentrante applica un CCNL che non prevede la cd. clausola sociale o nel contratto di appalto tra committente e subentrante è assente una specifica pattuizione circa i rapporti di lavoro in essere con il cedente – come spesso accade nel settore privato, diversamente dal pubblico, – (posto che ad oggi la norma di legge che impone le assunzioni in questione riguarda solo l’attività dei call center), ai lavoratori licenziati dall’appaltatore uscente in conseguenza della cessazione dell’appalto e assunti dal subentrante deve trovare applicazione l’art. 2112 c.c..

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