Recentemente la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 14566 del 15.07.2016, è tornata a pronunciarsi sul divieto dei patti successori.

Si tratta di un tema che, sebbene già in passato affrontato da dottrina e giurisprudenza, è tuttora decisamente attuale, visto il frequente utilizzo nella prassi di strumenti contrattuali aventi la finalità di pianificare la sorte dei rapporti patrimoniali di un soggetto per il tempo in cui questi avrà cessato di vivere.

Per espressa previsione normativa (art. 457 c.c.), l’eredità si trasmette esclusivamente per legge o per testamento.

Non può invece aversi successione mediante contratto (ad eccezione del c.d. patto di famiglia, ritenuto dalla legge a tutti gli effetti valido ed efficace).

Le ragioni del divieto sono chiare e risiedono nell’esigenza di tutelare la libertà testamentaria e garantire al testatore la facoltà di revocare le proprie disposizioni.

Ciascuno deve infatti essere libero, in qualsiasi momento e sino a che è in vita, di mutare idea in ordine alla propria successione.

Ciò non avverrebbe se accordi di tal genere e sorta fossero dal legislatore considerati validi.

Patti successori: la Cassazione conferma la nullità

Con la sentenza in esame la seconda sezione civile della Suprema Corte ha dichiarato la nullità di un accordo redatto con scrittura privata con cui due figli si sono attribuiti le rispettive quote della proprietà di un immobile oggetto della futura successione del padre, seppur convenendo che il patrimonio paterno sarebbe stato diviso solo al conseguimento della sua piena disponibilità, ovvero alla morte del genitore.

La suddetta pronuncia, sul filone dell’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale che ritiene nulli i patti successori, ha ribadito la contrarietà alla legge delle convenzioni che:

  1. hanno la finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta;
  2. hanno ad oggetto beni che i contraenti considerano parte di una futura successione;
  3. sono poste in essere da soggetti che agiscono in qualità di aventi diritto ad una futura successione;
  4. prevedono che il trasferimento, la modifica e/o l’estinzione dei diritti sanciti nell’accordo stesso debba avere luogo mortis causa, ovvero a titolo di eredità o di legato.

Secondo la Cassazione le parti hanno agito con il preciso intento di regolamentare in anticipo la divisione di una parte del patrimonio ereditario paterno che, all’epoca, sapevano non essere di loro proprietà e che prevedevano lo sarebbe diventato in futuro.

In ultimo, la Suprema Corte ha altresì rilevato che non costituisce motivo di sanatoria il fatto che il de cuius abbia prestato la propria adesione ad un precedente patto successorio avente ad oggetto la sorte del proprio patrimonio.

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