Con sentenza n. 10428/2017 depositata lo scorso 27 aprile, la Corte di Cassazione ha stabilito che gli sgravi contributivi previsti dall’art. 8 L. n. 223/1991 non spettano per i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità che siano stati assunti da un’impresa che ha acquisito, da una procedura fallimentare, l’azienda nella quale gli stessi lavoratori erano impiegati prima della cessione.

A tale conclusione la Corte giunge dopo avere ribadito che la finalità delle agevolazioni dell’art. 8 citato è di favorire l’occupazione dei lavoratori effettivamente espulsi dal mercato del lavoro e che, pertanto, il riconoscimento degli sgravi presuppone che siano creati nuovi posti di lavoro, in assenza di un obbligo di assunzione.

Ciò posto, se tra due imprese interviene un trasferimento d’azienda, tale finalità non sussiste perché, ai sensi dell’art. 2112 c.c., i rapporti di lavoro continuano con l’acquirente.

Afferma, infatti, la Corte che, ove l’azienda – intesa come complesso organizzato non solo di mezzi ma anche di lavoratori stabilmente addetti ad essa – abbia continuato o riprenda ad operare, la prosecuzione o riattivazione del rapporto di lavoro presso il nuovo datore di lavoro costituisce non manifestazione di una libera opzione, ma l’effetto di un preciso obbligo previsto dall’art. 2112 c.c..

Gli stessi principi si applicano anche nel caso in cui sia la procedura fallimentare a cedere l’azienda.

Come precisato dalla Corte, infatti, il fallimento non determina il venir meno del bene giuridico azienda inteso come complesso di elementi materiali e giuridici organizzati al fine dell’esercizio dell’impresa.

In senso contrario non può, inoltre, invocarsi l’art. 47, comma 5, L. n. 428/1990, che, pur escludendo l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. alle aziende in crisi, non legittima il riconoscimento degli sgravi contributivi in violazione della ratio dell’art. 8 citato.

Come, infatti, chiarito dalla Corte richiamando un principio già precedentemente affermato (Cass. n. 17838/2015, n. 26873/2011, n. 8069/2011), nell’escludere l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. alle aziende in crisi, l’art. 47 disciplina la posizione contrattuale dei lavoratori nel passaggio alla nuova impresa, senza avere riguardo agli aspetti contributivi.

In sostanza, l’art. 47 incide sul rapporto tra lavoratore, cedente e cessionaria, ma non sugli obblighi nei confronti dell’INPS.

Irrilevante è anche l’eventuale accordo sindacale che regolamenti le modalità attuative del trasferimento.

In conclusione, chiarisce la Corte, se sono accertati elementi di permanenza della preesistente struttura aziendale (quali lavoratori e oggetto sociale), per ottenere i benefici, l’azienda deve dimostrare la presenza di elementi di novità intervenuti nella struttura e di significative integrazioni apportate al complesso originario per consentire al complesso ceduto di svolgere autonomamente la propria funzione produttiva.

Per il riconoscimento del diritto agli sgravi è necessario accertare l’obiettiva diversità della società subentrante rispetto alla cedente e l’effettiva creazione di nuovi posti di lavoro.

È bene ricordare, infine, che gli sgravi in questione sono riconosciuti per le assunzioni effettuate fino al 31/12/2016, in quanto l’art. 8 citato è stato abrogato, a decorrere dal 01/01/2017, dall’art. 2, comma 71, lett. b), L. n. 92/2012.

Tuttavia, i principi affermati con la sentenza in esame non cessano di essere di stretta attualità, ma, al contrario, potrebbero in linea generale ritenersi applicabili a tutti gli incentivi all’assunzione.

L’art. 31 D.Lgs. n. 150/2015, infatti, dettando i principi generali di fruizione degli incentivi all’occupazione, prevede, al comma 1, lett. a), che gli incentivi non spettano se l’assunzione costituisce attuazione di un obbligo preesistente, stabilito da norme di legge o della contrattazione collettiva, anche nel caso in cui il lavoratore avente diritto all’assunzione viene utilizzato mediante contratto di somministrazione.

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