Dapprima come conseguenza della pandemia e, poi, dello scoppio del conflitto armato russo-ucraino, stiamo assistendo a rincari anomali, dei beni di consumo, della componentistica e dei semilavorati, per fare qualche esempio, dell’acciaio Inox, delle auto elettriche, dei prodotti di fonderia e placcatura e degli imballaggi, che sono l’effetto diretto dell’aumento del costo delle materie prime impiegate nella loro produzione, pensiamo ad esempio al nichel oggi a + 154 % rispetto al periodo pre Covid, allo zinco a + 96 % o all’acciaio a + 217%.

Tali rincari non possono che avere un impatto importante sui contratti di fornitura e/o di somministrazione conclusi precedentemente e in tempi non sospetti: inevitabilmente, il prezzo inizialmente pattuito per i beni in questione non rappresenta più il loro giusto corrispettivo e ciò discapito della parte che, ai sensi del contratto, fornisce o somministra, la cui prestazione, infatti, diviene eccessivamente onerosa.

Ebbene, in assenza di specifiche previsioni contrattuali relative alla possibile variazione del prezzo dei beni oggetto del contratto, la parte pregiudicata dall’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione ha come rimedio esperibile quello della risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1467 c.c.

Il presupposto necessario per l’applicazione della norma appena citata è che l’eccessiva onerosità derivi da un evento straordinario (cioè un evento che statisticamente è poco frequente, con carattere di eccezionalità) e imprevedibile (deve essere cioè tale che i contraenti non lo avessero messo in conto, in base alle loro conoscenze ed esperienze), avente il carattere della generalità (deve quindi trattarsi di una situazione riscontrabile collettivamente e tale da modificare il valore di mercato della prestazione).

La risoluzione del contratto a favore della parte pregiudicata era già stata indicata dalla Suprema Corte di Cassazione nella relazione tematica n. 56 del 8 luglio 2020, consultabile sul sito cortedicassazione.it, come rimedio alle sopravvenienze contrattuali determinate dalla pandemia, quali l’inusuale aumento di una o più voci di costo della prestazione da eseguire (c.d. “eccessiva onerosità diretta”), e della speciale diminuzione di valore reale della prestazione da ricevere (c.d. “eccessiva onerosità indiretta”). Anche se le considerazioni contenute nella relazione appena citata fanno riferimento alle ripercussioni della pandemia sull’universo delle imprese e dei contratti commerciali, a parare di chi scrive, possono ancora ritenersi attuali ed estendibili, per analogia, alle sopravvenienze determinate dal conflitto russo-ucraino

Ma se le parti, anziché alla risoluzione, puntassero alla conservazione del contratto e dei suoi effetti ristabilendo, in caso di necessità, il suo equilibrio, quali mezzi hanno a disposizione?

Certamente possono optare, in sede di stesura del contratto, alla previsione di un meccanismo revisionale del prezzo per agevolare, se necessario, l’adeguamento del corrispettivo inizialmente concordato impedendo che la prestazione di una delle parti diventi eccessivamente onerosa.

Tale adeguamento è ad esempio espressamente disciplinato dall’art. 1664 c.c. per i contratti di appalto che, infatti, prevede la possibilità per le parti di chiedere all’altra una revisione del prezzo nel caso in cui il costo dei materiali o della manodopera subisca un aumento o una diminuzione superiore a 1/10 del prezzo complessivamente pattuito.

La specialità di tale norma, rispetto alla disciplina generale dettata dall’art. 1467 c.c., sussiste inoltre anche rispetto ai presupposti applicativi della stessa, laddove è sufficiente che gli eventi in parola siano imprevedibili e non anche straordinari, in questo senso si è espresso il Tribunale di Milano 2319/2020 dell’8 aprile 2020, in DeJure.  Sempre in tema di appalto, l’onere di provare l’aumento dei prezzi delle materie prime nel corso del rapporto contrattuale, imputabile a circostanze eccezionali ed imprevedibili, grava sull’appaltatore, anche laddove fosse presente una clausola di revisione dei prezzi, in questo senso si è pronunciato il T.A.R. per la Lombardia, sezione distaccata di Brescia, 504/2020 del 03 luglio 2020 in DeJure.

Al di fuori di questa ipotesi, occorre una disciplina convenzionale mediante l’elaborazione di apposite clausole contrattuali atte, appunto, a prevedere la revisione dei prezzi in modo automatico ed immediato al semplice ricorrere di determinati fattori. Tali clausole devono fissare la portata e la natura di eventuali modifiche, nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate.

Alternativamente, è possibile richiamare nel contratto la c.d. ICC hardship clause, letteralmente clausola di avversità elaborata dalla Camera di Commercio Internazionale,possibilmente adattata alle peculiarità del caso, che consente di assicurare un governo dell’hardship conforme agli standard del commercio internazionale.

Tale clausola è stata infatti creata per venire incontro alle esigenze proprie delle imprese che operano sul mercato globale mediante contratti di durata prolungata, quindi soggetti al possibile mutamento delle condizioni nel tempo.

Alla base dell’hardship clause vige il principio secondo cui una maggiore onerosità della prestazione non è di per sé idonea ad esonerare la parte dall’adempimento della propria obbligazione, a meno che essa non incida in misura rilevante sull’equilibrio originario del contratto e purché ricorrano determinate condizioni.

L’hardship clause prevede l’impegno delle parti ad avviare in buona fede le trattative per l’adeguamento delle condizioni contrattuali laddove la prestazione di una delle parti sia diventata eccessivamente onerosa, disciplinando, a monte, le conseguenze dell’eventuale mancato raggiungimento di un accordo, quali la risoluzione del contratto ovvero, più ricorrentemente, l’intervento del giudice o di un arbitro per l’adattamento del contratto o la sua risoluzione.

Per un corretto e proficuo impiego di questo tipo di clausola, occorre individuare, in primo luogo, l’evento di hardship; in secondo luogo, le modalità di accertamento e comunicazione alla controparte dell’evento; e, a completamento, le modalità con cui verrà eseguita la ristrutturazione del contratto.

Ricordiamo, infine, che in tema di contratti pubblici, la previsione di clausole di adeguamento è imposta dall’art. 29 del decreto-legge 4/2022, c.d. “sostegni ter”, alla lett. a), convertito in L. 28 marzo 2022, n. 25, il quale stabilisce che, all’interno dei contratti pubblici, è obbligatorio l’inserimento, in particolar modo nei documenti di gara iniziali, della clausola di revisione dei prezzi previste dall’articolo 106, comma 1, lettera a), primo periodo, del D. Lgs. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici).