Se la cartella clinica del paziente è incompleta, il paziente danneggiato può ricorrere a presunzioni per provare il nesso di causalità delle lesioni con la condotta del medico.

Questo il principio affermato dal Tribunale di Palermo, con la sentenza n. 63612 del 5 luglio scorso, in relazione al caso di un neonato che aveva patito un’asfissia prenatale e che aveva così riportato danni permanenti, quali encefalopatia, epilessia e paralisi.

Secondo i genitori del bimbo, che hanno convenuto in giudizio l’azienda sanitaria, i medici non si erano tempestivamente accorti delle problematiche in atto, ritardando il parto.

La cartella clinica, peraltro, era stata redatta con approssimazione, non riportando, salvo la diagnosi, né i controlli eseguiti sulla gestante, né le condizioni del neonato.

In assenza di dati documentali concernenti pregresse anomalie della gestante, difetti genetici del feto o cause naturali del danno cerebrale, il Tribunale ha ritenuto dimostrato il nesso causale tra l’omissione sanitaria e il danno provocato da questa, atteso che tale prova può dirsi raggiunta se “da un lato non vi sia certezza che il danno cerebrale patito dal neonato sia derivato da cause naturali o genetiche e, dall’altro, appaia più probabile che non che un tempestivo o diverso intervento da parte del medico avrebbe evitato il danno”.

Fornita tale prova sarebbe stato onere dell’azienda sanitaria provare la scusabilità della propria condotta; tuttavia, le informazioni annotate nella cartella clinica erano tanto scarse da non consentire la dimostrazione dell’esatta esecuzione della prestazione sanitaria (con corretta vigilanza e monitoraggio sulla paziente e con tempestiva esecuzione di taglio cesareo in condizione di insorta sofferenza).

Il Tribunale di Palermo ha quindi ribadito i principi espressi, in tema di responsabilità medica, dalla Suprema Corte, rammentando che “la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato (Cass. civ., sez. III, n. 6209 del 31 marzo 2016)”.

Principi questi validi non solo ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa del sanitario, ma anche per l’individuazione del nesso eziologico tra la condotta contestata e le conseguenze dannose subìte dal paziente.

 

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