Nell’era digitale, sempre più spesso l’erogazione di servizi ai clienti si basa sull’uso in licenza di software non proprietari.
In tali casi, l’efficienza operativa dell’impresa dipende quasi completamente dall’utilizzo di un asset digitale concesso in licenza da una software house che mantiene il possesso del codice sorgente.

I contratti di licenza normalmente prevedono infatti che la società di sviluppo software consegni i soli programmi eseguibili ma non anche i codici sorgente che ne costituiscono il patrimonio di maggior valore, con conseguente interesse alla non divulgazione.  Di contro, l’impresa cliente ha interesse a poter continuare a utilizzare il programma anche nel caso in cui la software house, per le ragioni più disparate, non garantisca più i propri servizi, generalmente di manutenzione e di assistenza.

Può essere quindi una buona idea, quando la proprietà del codice sorgente resta in capo alla società di sviluppo software, prevedere la sottoscrizione di un contratto di source code escrow.

Questo tipo di accordo, che vede la sua origine nei sistemi di common law e la cui natura è stata indagata inizialmente, nel lontano 2016, dal Tribunale di Oristano con una sentenza storica, prevede il deposito presso un terzo di una copia del codice sorgente di un programma.

Si tratta quindi di un contratto trilaterale che si perfeziona fra l’azienda produttrice del software, il cliente licenziatario e un terzo soggetto imparziale, l’agente di escrow che, di norma, è un notaio.

Secondo lo schema tipico la software house:

  •  concede, dietro pagamento di un corrispettivo, l’utilizzo di un programma per elaboratore di propria realizzazione al cliente senza consegnargli il codice sorgente e
  • deposita contestualmente una copia del programma stesso, completa però del codice sorgente, presso l’agente di escrow,

con l’accordo che, ove la software house non sia più in grado di adempiere ai suoi obblighi contrattuali, il cliente licenziatario possa ottenere dall’agente di escrow il rilascio del codice sorgente.

Questo tipo di contratto consente anche di specificare i casi in cui l’agente di escrow è tenuto a consegnare il codice sorgente.

Di solito vengono previste le ipotesi di liquidazione giudiziale, di cessazione di attività della software house, di mancato adempimento da parte di quest’ultima di un obbligo previsto dal contratto di licenza, di verificarsi di errori nella manutenzione del software. Un’altra possibilità interessante è quella in cui la software house venga acquisita da un’altra società che non intende più trattare quello specifico software.

In tali casi, il cliente potrà ottenere il rilascio del codice sorgente che avverrà:

  •  o automaticamente, a prima richiesta, con la sola notifica all’agente di escrow del verificarsi di una delle condizioni predette,
  • oppure a seguito dell’accertamento della sussistenza di tali condizioni  che può essere anche affidato a un collegio arbitrale.

In conclusione, questo strumento giuridico, che oggi è peraltro offerto anche in forma telematica,apparesicuramenteinteressante e valevole: sempre più spesso società, specie straniere, alle quali viene fornito un bene (pensiamo a un impianto) accompagnato dal software che ne garantisce l’utilizzabilità, richiedono l’inserimento, nel contratto di compravendita, di una clausola che preveda il deposito in escrow.