In alcuni casi, gli attacchi che un imprenditore subisce da parte di altri imprenditori con lui in concorrenza possono essere leciti e rientrare nelle normali regole di concorrenza; altre volte, invece, possono essere illeciti e dannosi, potendosi qualificare quali forme di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 c.c..

La Corte di Cassazione, con la recentissima pronuncia del 31 ottobre 2016, n. 22042, riguardante le condotte poste in essere dal colosso della grande distribuzione Esselunga, e più precisamente da parte di Bernardo Caprotti, in danno a Coop Estense, ha fatto chiarezza sulla concorrenza sleale c.d. denigratoria, che si verifica, ai sensi dell’art. 2598, n.2 c.c., allorché un imprenditore “diffonde notizie e apprezzamenti negativi sui prodotti o sull’attività di un concorrente”.

Le vicenda esaminata dai Giudici della Suprema Corte trae origine dalla pubblicazione del libro Falce e Carrello – le mani sulla spesa degli italiani scritto da Bernardi Caprotti appunto, e riguardante le modalità di concorrenza tra imprese cooperative e imprese lucrative ed il regime fiscale agevolato di cui le prime beneficiano.

Concorrenza sleale denigratoria: quando?

I Giudici di primo grado e della Corte d’Appello, ravvisando nel libro non un’opera o inchiesta giornalistica, ma un’opera artistico letteraria, in cui prevale l’affermazione di ideali e valori che l’autore intende trasmettere, hanno ritenuto applicabile l’esimente dell’esercizio del diritto di critica e della libera manifestazione del pensiero.

Secondo i Giudici della Suprema Corte di Cassazione, invece, l’erronea qualificazione del libro alla stregua di un’opera letteraria, in luogo di quella giornalistica, ha indotto i Giudici milanesi a trascurare una verifica puntuale del rispetto dei canoni espositivi ed alle espressioni utilizzate dall’imprenditore.

Qualificando, quindi, l’opera in esame alla stregua dell’opera giornalistica, attese le espressioni ivi utilizzate, è stato ravvisato l’intento denigratorio dell’autore, valutato, quindi, ai sensi dell’art. 2598 n. 2 c.c..

Proprio con riferimento alla fattispecie della concorrenza sleale denigratoria, i Giudici della Suprema Corte, premettendo che l’illecito concorrenziale di cui all’art. 2598 n. 2 c.c. non si perfeziona necessariamente attraverso la produzione di un pregiudizio attuale al patrimonio del soggetto concorrente, essendo sufficiente anche il pericolo di un danno concorrenziale”, hanno effettuato un importante chiarimento anche in ordine alla condotta.

Precisamente: “… ai fini della configurabilità della concorrenza sleale per denigrazione, le notizie e gli apprezzamenti diffusi tra il pubblico non devono necessariamente riguardare i prodotti dell’impresa concorrente ma possono avere ad oggetto anche circostanze od opinioni inerenti in generale l’attività di quest’ultima, la sua organizzazione o il modo di agire dell’imprenditore nell’ambito professionale…”.

Per i Giudici della Corte di Cassazione, quindi, la fattispecie della concorrenza sleale denigratoria sussiste non solo in presenza di diffusione tra il pubblico di notizie scorrette sui prodotti dell’imprenditore concorrente, ma anche e ogni volta che si tenta di screditare, in generale, l’attività, l’organizzazione e il modo di agire dell’imprenditore concorrente con notizie che possano ripercuotersi negativamente sulla considerazione dell’impresa presso i consumatori.

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