Il Tribunale di Torino, con la sentenza del 26.07.2016, ha ritenuto che, dopo l’omologa del concordato preventivo, può essere dichiarato il fallimento dell’imprenditore anche in assenza di risoluzione o di annullamento del concordato, qualora risulti che l’accordo con i creditori non abbia risolto la situazione di insolvenza ovvero che la stessa sia sopraggiunta nella fase di esecuzione del concordato.

Nel caso di specie, il Pubblico Ministero, con ricorso ex art. 7 L.F., ha agito per sentire dichiarare il fallimento della società il cui concordato preventivo era stato omologato.

Il Pubblico Ministero, sulla base della segnalazione del Commissario Giudiziale e del Liquidatore Giudiziale, ha evidenziato la sussistenza di “una situazione di pressoché totale paralisi della liquidazione” derivante dall’impossibilità “di cedere l’immobile inserito nel piano, di riscuotere i crediti indicati, di escutere la fideiussione prestata, con conseguente impossibilità, pressoché totale, di acquisire l’attivo destinato al soddisfacimento dei creditori, secondo le previsioni contenute nel concordato omologato”.

Si è costituita in giudizio la società eccependo l’inammissibilità dell’istanza di fallimento in quanto formulata nei confronti “di un’impresa che ha già ottenuto l’omologazione di un concordato preventivo sulla scorta della medesima insolvenza superata dalla procedura minore, senza procedere alla preventiva risoluzione della stessa e senza neppure attendere il decorso del termine del piano e della proposta, con conseguente oggettiva impossibilità di predicare l’inadempimento della debitrice e – a fortiori – la sua ipotetica gravità”.

Preliminarmente, il Tribunale ha esaminato la questione della legittimazione ad agire del Pubblico Ministero ritenendola conforme ai principi enunciati dalla Suprema Corte nella sentenza a Sezioni Unite del 18.04.2013, n. 9409.

In merito, invece, all’eccezione di inammissibilità dell’istanza di fallimento, il Tribunale ha ritenuto che l’assenza della preventiva dichiarazione di risoluzione del concordato omologato non osta alla dichiarazione di fallimento, ove ne sussistono i presupposti oggettivi e soggettivi.

In particolare, il Tribunale è giunto a tale conclusione nel rispetto dei principi affermati dalla Corte Costituzionale nella pronuncia n. 106 del 07.04.2004. In tale sentenza, la Corte ha affrontato la questione, dichiarandola infondata, dell’incostituzionalità degli artt. 137, 184 e 186 L.F. in relazione agli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione osservando che la tesi prospettata dal Giudice rimettente, secondo la quale l’assenza della risoluzione del concordato impedirebbe una dichiarazione di fallimento, “è frutto di una interpretazione che privilegia un – rispettabile ma opinabile – profilo sistematico”, ma non risulta “imposta dalla legge (e, tanto meno, dal diritto vivente)”. Ha quindi concluso la Corte che il Giudice rimettente – investito della questione della legittimità della dichiarazione di fallimento – “ben potrebbe, e dovrebbe, adottare una interpretazione conforme alla Costituzione in luogo di quella “sistematica” che egli ritiene confliggente con le evocate norme costituzionali”, verificando in concreto se l’inadempimento dei crediti anteriori alla proposta concordataria era tale da potersi definire come insolvenza ai sensi dell’art. 5 L.F..

Il Tribunale ha poi richiamato alcune recenti pronunce rese da altri giudici di merito (Tribunale di Venezia con sentenza del 29.10.2015 e Tribunale di Napoli con sentenza del 29.04.2016) i quali hanno affermato la possibilità giuridica, in assenza di un divieto fissato da una precisa disposizione, di dichiarare il fallimento dopo l’omologa del concordato, anche in assenza di risoluzione o di annullamento, nel caso in cui risulti, tramite valutazione ex post ed in concreto svolta dal Tribunale in sede di giudizio prefallimentare, anche in eventuale antitesi rispetto al giudizio ex ante ed in astratto compiuto in sede concordataria sulla fattibilità economica del piano, che l’accordo non abbia risolto la situazione di insolvenza ovvero che la stessa sia sopraggiunta nella fase di esecuzione del concordato.

Nel caso in esame, a giudizio del Tribunale, la sopravvenuta impossibilità di pagare integralmente la prededuzione e di soddisfare i creditori privilegiati non ipotecari ha reso definitivamente ineseguibile il piano concordatario e, conseguentemente, insolvente la società convenuta a fronte delle obbligazioni assunte nei confronti dei creditori proprio a seguito del concordato proposto e omologato.

Il Tribunale ha, quindi, dichiarato il fallimento della società per sopraggiunta insolvenza verificatasi nella fase di esecuzione del piano concordatario a nulla rilevando che il concordato non fosse stato preventivamente risolto per inadempimento.

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