Tra le misure volte a prevenire la diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro previste dal Protocollo nazionale adottato il 14 marzo 2020 e integrato il 24 aprile 2020 tra le Parti Sociali su invito del Governo, si colloca il divieto di ingresso in azienda per i soggetti che, negli ultimi 14 giorni, abbiano avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID-19 o provengano da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS. Il Protocollo condiviso dispone che di tale preclusione il datore di lavoro debba informare preventivamente il personale e chiunque intenda fare ingresso in azienda.

Al fine di determinare quali siano le zone a rischio, che impediscono l’accesso in azienda, nelle FAQ pubblicate dal Ministero della Salute viene chiarito che per aree a rischio di infezione da nuovo coronavirus si intendono le aree in cui è presente la trasmissione locale di SARS-CoV-2, come identificate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Queste vanno differenziate dalle aree nelle quali sono presenti solo casi importati. La stessa OMS definisce come affected areas  those countries, provinces, territories or cities experiencing ongoing transmission of COVID-19, in contrast to areas reporting only imported cases“. 

L’individuazione delle aree a rischio può essere quindi ricavata dall’analisi dei report sulla diffusione della pandemia a livello globale che vengono pubblicati quotidianamente sul sito dell’OMS. In tali report è prevista una lista con i paesi, territori e aree colpite dal Coronavirus, in cui la trasmissione è classificata come segue:

– No case ossia paesi / territori / aree senza casi confermati;
– Sporadic case ossia paesi / territori / aree con uno o più casi importati o rilevati localmente;
– Clusters of cases ossia paesi / territori / aree in cui si verificano casi, raggruppati per tempo, posizione geografica e/o esposizioni comuni;
– Community transmission ossia paesi / aree / territori che presentano focolai più grandi di trasmissione locale sulla base di diversi fattori (ad es. presenza di più focolai non correlati tra loro, etc.)

In base a quanto indicato dal Ministero della Salute e dall’OMS, è possibile ritenere che le aree a rischio siano quelle individuate dall’OMS con “Community transmission“. Un’interpretazione estensiva porterebbe a considerare a rischio anche le aree classificate con Clusters of cases“.

Al fine di una corretta interpretazione, occorre considerare che le classificazioni fornite dall’OMS si fondano sui dati comunicati dai singoli paesi, territori e aree e ​vengono costantemente aggiornate con la disponibilità di nuovi dati. A ciò si aggiunga che laddove i dati a disposizione dell’OMS non consentano di classificare la trasmissione del COVID-19 secondo le categorie sopra delineate, il paese, area o territorio viene indicato con “Pending. Inoltre, in data 30.04.2020, nel documento Country Preparedness and Response Status for COVID19, l’OMS ha evidenziato che tutti i paesi sono a rischio.

Si tratta quindi di una rappresentazione in divenire, da monitorare costantemente; le stesse categorie di classificazione sono cambiate dall’inizio dell’epidemia ad oggi.

Si segnala altresì che il Protocollo, nel prevedere il divieto di ingresso in azienda, richiama espressamente l’art. 1 lettere h) e i) del D.L. n. 6 del 23.02.2020, che detta le seguenti misure di contenimento: 

– quarantena con sorveglianza attiva per gli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati;

– obbligo da parte degli individui che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico, come identificate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, di comunicare tale circostanza al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio, che provvede a comunicarlo all’autorità sanitaria competente per l’adozione della misura di permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva.

Tale articolo è stato abrogato dal D.L. 19 del 25.03.2020 e, comunque, l’ingresso in Italia è disciplinato dall’art. 4 DPCM 26.04.2020.