Torniamo a parlare di responsabilità amministrativa degli enti, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, questa volta nell’ambito dei cd. “gruppi” di imprese.

Il Decreto Legislativo in commento, si ricorderà – l’argomento è stato affrontato nell’articolo pubblicato il 04.05.2016 – disciplina la responsabilità amministrativa degli enti per alcuni reati, specificamente elencati nel Decreto stesso, commessi nel loro interesse o a loro vantaggio, da parte di soggetti che, preventivamente investiti di tale potere, agiscono in nome e per conto dell’ente stesso. Può trattarsi di:

  • soggetti c.d. “apicali”, che rivestono cioè funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua organizzazione dotata di autonomia finanziaria e funzionale o che esercitano, anche di fatto, la gestione ed il controllo dello stesso;
  • soggetti c.d. “sottoposti all’altrui direzione o vigilanza”, i quali eseguono nell’interesse dell’ente le decisioni intraprese al vertice.

Il Decreto Legislativo n. 231/2001 si rivolge sempre agli enti singolarmente considerati, senza prendere in esame il fenomeno dei “gruppi” e senza, quindi, disciplinarne le implicazioni sotto il profilo della responsabilità amministrativa da reato.

Ci si è quindi chiesti, sin dalle prime applicazioni, se e a quali condizioni, nel caso di accertamento di responsabilità a carico di un’impresa facente parte di un “gruppo”, detta responsabilità possa estendersi anche alla società capogruppo o ad altre società del “gruppo”.

La questione è stata più volte affrontata nel tempo dalla giurisprudenza; di recente anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 52316 del 27.09.2016.

Nozione di “Gruppo”

Prima di entrare nel merito della questione, è opportuno chiarire, quantomeno sommariamente, cosa si intende per “gruppo” di imprese.

Il legislatore non da una definizione, ma riconosce certamente il fenomeno delle imprese organizzate in forma di gruppo disciplinando il “controllo” e il “collegamento” e la “direzione e coordinamento” tra le società.

In generale, si può ravvisare la sussistenza di un “gruppo” di imprese quando un soggetto controllante (c.d. “holding” o capogruppo) che detiene partecipazioni in altre società (c.d. controllate) esercita nei loro confronti un’attività, appunto, di direzione e coordinamento.

  • Svolge attività di “direzione” la società (holding) che esercita un’influenza marcata, incisiva e dominante, imponendo la propria volontà – che si sostituisce pressoché integralmente a quella degli organi amministrativi delle società controllate – ed elaborando programmi finanziari e produttivi di gruppo.
  • Svolge attività di “coordinamento” la società (holding) che esercita sulle controllate un’influenza meno penetrante di quella relativa alla “direzione”, perché limitata a quanto necessario per assicurare che le attività delle diverse società vengano svolte in modo organizzato e non confliggente.

La legge presume, fino a prova contraria, che vi sia attività di direzione e coordinamento quando la holding:

  • è obbligata a redigere il bilancio consolidato (la presunzione opera sola con riferimento alle controllate incluse nel consolidato);
  • detiene la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
  • dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria.

L’attività di direzione e coordinamento di una società nei confronti di altre controllate può, infine, anche derivare dall’esistenza di particolari clausole statutarie o particolari vincoli contrattuali.

Profili di responsabilità: l’iter giurisprudenziale

Il “gruppo”, come visto, è un’aggregazione di imprese, collegate sul piano organizzativo perché assoggettate al potere direttivo di un solo soggetto economico, ma che rimangono distinte ed autonome da un punto di vista giuridico e patrimoniale.

Non essendo, quindi, a sua volta un ente, il “gruppo” non è inquadrabile tra i soggetti indicati all’art. 1 del D.Lgs. n. 231/2001, quali destinatari della disciplina.

Non si può, quindi, parlare di una responsabilità del gruppo, ma semmai di una responsabilità nel gruppo.

Fin dagli esordi della normativa sulla responsabilità amministrativa degli enti, la giurisprudenza ha ammesso la possibilità che nei gruppi di imprese la capogruppo potesse essere chiamata a rispondere per fatti accaduti all’interno della società controllata.

Le prime pronunce fondavano la responsabilità della capogruppo sul concetto del c.d. “interesse di gruppo”: se il gruppo è portatore di un interesse unitario per cui sono ammesse le incursioni della holding nella definizione di alcune scelte politico-imprenditoriali delle controllate, allora lo stesso interesse di gruppo può rappresentare anche il criterio per imputare alla capogruppo la responsabilità nel caso in cui uno dei reati rilevanti sia stato commesso in una società del gruppo.

Ciò rischiava, tuttavia, di comportare un’automatica attribuzione di responsabilità alla holding nel caso di reato commesso nell’ambito di una società controllata.

Nelle sue successive pronunce, la Corte di Cassazione è arrivata, per questo, ad affermare che affinché possa esserci responsabilità in capo alla holding è necessario che questa abbia perseguito un interesse concreto o tratto un vantaggio effettivo, non potendosi applicare in maniera generica e automatica il criterio dell’interesse di gruppo.

Non solo. La Suprema Corte ha precisato che il soggetto che ha agito per conto della holding deve aver concorso effettivamente con il soggetto autore del reato, non essendo sufficiente un generico riferimento al ruolo di capogruppo e quindi alle funzioni di direzione e coordinamento esercitate per affermare la responsabilità della società.

L’appartenenza ad un gruppo non può, quindi, implicare automaticamente la responsabilità della capogruppo per reati commessi da società controllate.

Seguendo questo andamento, la recente sentenza n. 52316 del 27.09.2016 sopra richiamata, ha affermato che “In tema di responsabilità da reato degli enti, qualora il reato presupposto sia stato commesso da una società facente parte di un gruppo o di una aggregazione di imprese, la responsabilità può estendersi alle società collegate solo a condizione che:

  • all’interesse o vantaggio di una società si accompagni anche quello concorrente di altra società;
  • la persona fisica autrice del reato presupposto sia in possesso della qualifica soggettiva necessaria, ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. 231, ai fini della comune imputazione dell’illecito amministrativo da reato”.

La società capogruppo o altre società facenti parte di un gruppo possono, dunque, essere chiamate a rispondere, ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, del reato commesso nell’ambito dell’attività di una società controllata appartenente al medesimo gruppo purché:

  • il fatto illecito sia stato commesso perseguendo anche l’interesse della controllante o dell’altra società del gruppo (interesse o vantaggio da verificarsi in concreto);
  • nella consumazione del reato abbia concorso una persona fisica che agisca per conto della holding stessa o dell’altra società facente parte del gruppo.

Soluzione, questa, che si può considerare in linea con le disposizioni del Decreto, che in effetti, ai fini dell’accertamento della responsabilità amministrativa da reato di una società, richiede:

  • la commissione di un reato tra quelli previsti,
  • la commissione di un reato presupposto da parte di un soggetto qualificato per quella società,
  • la commissione del reato-presupposto nell’interesso o a vantaggio del singolo ente della cui responsabilità si discute, da verificarsi in concreto.

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