La Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 33089/2021, depositata lo scorso 7 settembre, è tornata a pronunciarsi in materia di ecoreati e, in particolare, sul delitto di Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.

La fattispecie è disciplinata dall’articolo 452 quaterdecies del Codice Penale e punisce con la reclusione da uno a sei anni “chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti”.

Tra gli elementi costitutivi del reato vanno annoverati l’allestimento di mezzi a carattere continuativo, la presenza di una struttura professionale organizzata, l’ingente quantitativo di materiale gestito.

La giurisprudenza ha tuttavia precisato come, per l’integrazione del reato, l’allestimento di specifiche risorse possa essere anche del tutto rudimentale e non debba essere destinato, in via esclusiva, alla commissione di attività illecite. Ne deriva che l’attività criminosa può essere marginale o secondaria rispetto all’attività principale lecitamente svolta dall’impresa.

Quanto all’elemento soggettivo, la condotta del soggetto agente deve essere sorretta dalla finalità di procurarsi un profitto ingiusto.

Proprio sul concetto di “ingiusto profitto” si è nuovamente soffermata la Suprema Corte nell’articolata motivazione, precisando che esso non deve necessariamente consistere in un ricavo patrimoniale, potendosi ritenere integrato anche dal mero risparmio di costi o dal perseguimento di vantaggi di altra natura.

In particolare, come rilevato nella sentenza: “l’ingiusto profitto può consistere non soltanto in un ricavo patrimoniale, ma anche nel vantaggio conseguente dalla mera riduzione dei costi aziendali o nel rafforzamento di una posizione all’interno dell’azienda, ed è “ingiusto” in quanto la condotta posta in essere abusivamente, oltre che anticoncorrenziale, può essere produttiva di conseguenze negative, in termini di pericolo o di danno, per l’integrità dell’ambiente e impedisce, comunque, il doveroso controllo, da parte dei soggetti preposti, sull’intera filiera dei rifiuti, che la legge impone dalla produzione alla destinazione finale.”

Con la pronuncia in esame la Cassazione consacra la propria interpretazione estensiva di ingiusto profitto, svincolata dalla connotazione prettamente patrimoniale che lo intende come guadagno derivante dall’attività illecita, e ribadisce come lo stesso possa consistere in un semplice risparmio di spesa o in una riduzione dei costi sostenuti nell’ambito dell’esercizio dell’attività di impresa.