Torniamo sull’applicabilità dell’art. 2112 c.c. nel caso di contratto di appalto, oggetto della news pubblicata il 29 luglio dello scorso anno nell’imminenza dell’entrata in vigore della legge comunitaria per il 2016.

Con la sentenza n. 6770 del 15 marzo 2017 la Corte di Cassazione ha affermato che il trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda si configura anche quando, terminato l’appalto, il servizio torna in gestione al committente.

Per chiarezza: la Corte si è occupata del caso della cessazione dell’appalto della gestione di un centro fitness all’interno di un grande albergo per affermare che la dipendente della società che aveva la gestione del centro, licenziata a seguito della perdita dell’appalto, ha diritto ad essere reintegrata alle dipendenze della società proprietaria della struttura alberghiera, che aveva ‘reinternalizzato’ la gestione del centro fitness, svolgendo direttamente le attività in precedenza appaltate.

In sintesi, la Cassazione ha ritenuto che il centro fitness costituisse “ramo d’azienda” e che la ‘reinternalizzazione’ si configuri come “trasferimento”.

Conseguenza: i dipendenti dell’appaltatore passano alle dipendenze del committente.

La Corte di Cassazione ha innanzitutto richiamato le proprie decisioni, pure precedenti alla modifica del comma 3 dell’art. 29 del D.Lgs. 276/2003 ad opera della legge comunitaria per il 2016, secondo cui il trasferimento di azienda o di ramo d’azienda è configurabile anche in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, sempre che si abbia un passaggio di beni di non trascurabile entità, tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa.

E’ quindi giunta ad affermare che analoghe considerazioni valgono quando, alla cessazione dell’appalto, il servizio torni in gestione diretta del committente, come ed in quanto ritenuto dalla Corte di Giustizia Europea: al lavoratore devono essere riconosciute le tutele prescritte nel caso di trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda, quando l’entità economica conservi la sua identità a prescindere dal cambiamento del proprietario, il che si desume in particolare dal proseguimento effettivo o dalla ripresa della sua gestione.

La Corte di Cassazione ha tenuto a sottolineare di trovarsi in accordo con il giudice europeo nel ritenere che, quando un’entità economica sia in grado, in determinati settori, di operare senza elementi patrimoniali significativi, la conservazione della sua identità, al di là dell’operazione di cui essa è oggetto, non può dipendere dalla cessione di tali elementi sicché, nei settori in cui l’attività si fonda essenzialmente sulla mano d’opera, un gruppo di lavoratori – costituente parte essenziale, in termini di numero e di competenza, del personale specificamente destinato dal predecessore alla attività – può corrispondere ad un’entità economica.

Già lo scorso anno, prima della modifica del comma 3 dell’art. 29 del D.Lgs. 276/2003, la Corte aveva affermato essere configurabile il trasferimento di un ramo d’azienda pure nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti dotati di particolari competenze che siano stabilimente coordinati ed organizzati tra loro (sentenza n. 7121 del 12 aprile 2016).

In conclusione, la Corte di Cassazione pare intendere confermare la propria determinazione di ampliare quanto più possibile la tutela prevista dall’art. 2112 c.c..

Ciò, nonostante la norma del comma 3 dell’art. 29 del D.Lgs. 276/2003 espressamente escluda l’applicazione dell’art. 2112 c.c. nel caso di cambio di appalto, se il subentrante abbia una “propria struttura organizzativa e operativa” ed “ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa”.

Si consenta di dubitare che il chiarimento interpretativo da parte della  giurisprudenza che la seconda condizione in particolare richiede, possa andare nel senso di una effettiva restrizione dell’applicabilità dell’art. 2112 c.c. nel cambio di appalto.

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