La Cassazione, con la sentenza n. 1387 del 18 gennaio scorso, è intervenuta in tema di concessione abusiva del credito da parte delle banche nei confronti di una società poi dichiarata fallita.

Il caso affrontato dalla Corte d’Appello di Firenze riguardava una società fallita nel 2009 che già dal 2002 presentava una situazione deficitaria con perdite costanti per anni, un sempre maggiore indebitamento con le banche, la discordanza tra i bilanci di esercizio e le dichiarazioni dei redditi e Irap tra il 1998 e il 2006, l’assenza di merito creditizio già alla data del 31 dicembre 2004, debiti bancari, dal 2003 in poi, pari a un terzo dei ricavi e superiori all’importo dei ricavi negli anni 2006, 2007 e 2008.

A fronte di tale stato di squilibrio e nonostante importanti e durevoli sconfinamenti, la società aveva comunque continuato a ottenere disponibilità creditizia e, ciò, a causa della condotta omissiva di alcune banche le quali, disattendendo le Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia, avevano trascurato di acquisire la documentazione reddituale che avrebbe consentito di avere una rappresentazione più veritiera della situazione economica rispetto al documento di esercizio e di valutare l’effettiva situazione patrimoniale della società.

La Corte d’Appello aveva, quindi, affermato che le banche, concedendo prestito a breve, nuovi mutui e mantenendo gli affidi nonostante rilevanti scoperti per periodi medio-lunghi, avevano violato il principio generale richiamato dall’articolo 5 T.U.B. e la normativa speciale del settore creditizio, in particolare le Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia di cui alla circolare n. 229 del 21 aprile 2009 e l’Accordo di Basilea 2 sul rating.

Con tale condotta, infatti, le banche avevano violato gli obblighi specifici sottesi al principio di sana e prudente gestione del credito e della normativa settoriale di vigilanza, perché, con la concessione abusiva del credito, avevano ritardato il fallimento della società, aggravando il passivo fallimentare.

La Suprema Corte, rigettando il ricorso proposto dagli istituti di credito, ha confermato la decisione della Corte d’Appello.

In particolare, la Cassazione, partendo dal presupposto che la condotta di abusivo ricorso al credito è prevista dall’art. 218 L.F. e che è da ritenersi egualmente illecita la condotta di concessione abusiva del credito, che individua “l’agire del finanziatore che conceda, o continui a concedere incautamente, credito in favore dell’imprenditore che versi in stato di insolvenza o comunque di crisi conclamata”, ha osservato come, sebbene nel nostro ordinamento non esista un generale dovere, a carico di ciascun consociato, di attivarsi al fine di impedire eventi di danno, tuttavia, con specifico riferimento alla normativa che regola il sistema bancario, il soggetto finanziatore, sulla base di questa, è tenuto all’obbligo di rispettare i principi di c.d. sana e corretta gestione, verificando, in particolare, il merito creditizio del cliente in forza di informazioni adeguate.

E’ stato affermato che “dato che l’attività di concessione del credito da parte degli istituti bancari non costituisce mero “affare privato” tra le stesse parti del contratto di finanziamento, l’ordinamento ha predisposto una serie di principi, controlli e regole, nell’intento di gestire i rischi specifici del settore, attese le possibili conseguenze negative dell’inadempimento non solo nella sfera della banca contraente, ma ben oltre di questa; potendo, peraltro, queste coinvolgere in primis il soggetto finanziato, nonché, in una visuale macroeconomica, un numero indefinito di soggetti che siano entrati in affari col finanziato stesso”.

La Cassazione ha, quindi, concluso che il curatore è investito della legittimazione a promuovere azioni nei confronti delle banche finanziatrici ritenute responsabili, in conseguenza dell’illecito sostegno finanziario all’impresa per la concessione o la reiterata concessione del credito, dei danni loro cagionati e, ciò, quando la banca abbia, dolosamente o colposamente, mantenuto artificiosamente in vita un imprenditore in stato di dissesto, in tal modo arrecando al patrimonio medesimo danni pari all’aggravamento del dissesto, nonché delle perdite generate dalle nuove operazioni così favorite.

E’ pertanto evidente come le banche, prima di concedere nuovo credito o di mantenere in essere gli affidamenti, siano chiamate a valutare con molta attenzione la situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società acquisendo, se del caso, tutte le informazioni e i documenti necessari.