La Cassazione, con la sentenza n. 21821 del 20 luglio scorso, è intervenuta nuovamente sul tema, di grande attualità, della prova che il cessionario di crediti in blocco ex art. 58 TUB deve fornire in giudizio per dimostrare la propria legittimazione.

La cessione dei crediti in ambito bancario è regolata dall’art. 58 TUB, che deroga parzialmente al regime ordinario civilistico previsto dagli articoli 1260 e 1264 c.c.

L’art. 58, comma II, TUB dispone – ai fini dell’opponibilità della cessione ai debitori ceduti – che la banca cessionaria dia notizia dell’avvenuta cessione mediante iscrizione e pubblicazione della stessa, rispettivamente, nel registro delle imprese e nella Gazzetta Ufficiale.

Nel caso in esame, una banca aveva agito per il recupero di un credito acquistato nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione realizzata ai sensi dell’art. 58 TUB producendo in giudizio, a dimostrazione della propria legittimazione, l’avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale unitamente alla dichiarazione della banca cedente che dava atto dell’intervenuta cessione.

La Corte d’Appello di Aquila, a fronte dell’eccezione di carenza di legittimazione sollevata dal debitore ceduto, aveva accolto il gravame proposto da quest’ultimo ritenendo non provata la titolarità del credito da parte del cessionario in quanto “la relativa prova passava necessariamente mediante la produzione del contratto di cessione, ovvero altra documentazione contrattuale negoziata con la banca cedente riconducibile al rapporto ceduto”.

In particolare, per la Corte d’Appello né l’avviso di cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale né, tantomeno, la dichiarazione del cedente erano idonei a provare la titolarità del credito da parte del cessionario il quale, invece, avrebbe dovuto produrre in giudizio il contratto di cessione o, in alternativa, l’elenco dei crediti ceduti allegato al contratto.

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso presentato dal cessionario, ha però cassato la sentenza impugnata affermando che “in caso di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi dell’art. 58 TUB, è sufficiente, allo scopo di dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario, la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione, sicché, ove i crediti ceduti sono individuati, oltre che per titolo (capitale, interessi, spese, danni, etc.), in base all’origine entro una certa data ed alla possibilità di qualificare i relativi rapporti come sofferenze in conformità alle istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, il giudice di merito ha il dovere di verificare se, avuto riguardo alla natura del credito, alla data di origine dello stesso e alle altre caratteristiche del rapporto, quali emergono dalle prove raccolte in giudizio, la pretesa azionata rientri tra quelle trasferite alla cessionaria o sia al contrario annoverabile tra i crediti esclusi dalla cessione”.

Per la Cassazione, non vi è dubbio che, in linea di principio, la parte che agisce in giudizio affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all’art. 58 TUB, ha l’onere di dimostrare l’inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione.

Onere che risulta assolto dalla produzione dell’avviso di cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale se quest’ultimo contiene l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco e se gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentono l’individuazione, senza incertezze, dei crediti oggetto di cessione.

Nel caso di specie, l’avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale parlava di “tutti i crediti (per capitale, interessi, anche di mora, accessori, spese, ulteriori danni, indennizzi e quant’altro) derivanti da contratti di finanziamento, chirografari ed ipotecari, e sconfinamenti di conto corrente sorti nel periodo compreso tra 1982 e 2016, i cui debitori sono stati classificati “a sofferenza” ai sensi della Circolare della Banca d’Italia n. 272/2008”.

La Suprema Corte ha, quindi, ritenuto che la mancanza tra gli atti del giudizio del contratto di cessione o dell’elenco dei crediti ceduti non esonerava comunque la Corte d’Appello dal compito di verificare se, a fronte delle emergenze di fatto, il credito azionato fosse, in ragione del titolo e del tempo della sua origine nonché della sua idoneità a essere identificato “ai sensi della Circolare della Banca d’Italia n. 272/2008” come “a sofferenza”, compreso tra le pretese trasferite alla cessionaria o fosse, al contrario, annoverabile, sotto l’uno e/o l’altro profilo, tra i crediti esclusi dalla cessione.

Occorre, pertanto, prestare sempre molto attenzione a quanto riportato nell’avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale producendo in giudizio anche il contratto di cessione o, quantomeno, l’elenco dei crediti ceduti se dall’esame degli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie vi è incertezza circa i rapporti oggetto di cessione e, ciò, al fine di evitare il rigetto della domanda per carenza di legittimazione.