Con la legge di stabilità 2016 (28 dicembre 2015 n. 208) sono state introdotte nel nostro ordinamento le società benefit  che nell’esercizio della loro attività economica, oltre a dividere gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune operando in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interessi (art.1comma 376).

Le società benefit perseguono uno scopo di lucro utilizzando il profitto come mezzo per creare un beneficio che si riversa su altri soggetti, garantendo al tempo stesso maggiore redditività all’impresa.

Tutte le società indicate nel libro V titolo V e VI del c.c. (ed in particolare, le società di persone, le società di capitali e le cooperative) possono diventare benefit perseguendo gli obiettivi delineati dal legislatore, effettuando, se già esistenti, i necessari adeguamenti statutari e, poi, inserendo nella propria denominazione sociale la dicitura benefit o l’abbreviazione SB.

Le società benefit si ispirano al modello americano delle benefit corporations (conosciute anche come B-corporations e B-corp), unica forma organizzativa che consente di affiancare al perseguimento dello scopo di lucro una diversa mission orientata al sociale.

Il minimo comune denominatore tra le diverse legislazioni è il public benefit ritenuto per legge compatibile con il tradizionale scopo lucrativo cui esso si affianca, come scopo aggiuntivo, stante la necessità di conciliare le due finalità nella concreta gestione dell’impresa.

Al pari di quanto previsto negli Usa anche in Italia, la disciplina delle società benefit prevede che le finalità di beneficio comune siano indicate nell’oggetto sociale.

Tale inserimento mira a vincolare gli amministratori al perseguimento degli scopi benefit durante la vita della società: infatti, l’oggetto sociale, nonostante la rilevanza meramente interna come limite ai poteri degli amministratori, possiede un’indiscutibile funzione amministrativa espressamente prevista dall’art. 2380 c.c..

Tuttavia il legislatore, dal punto di vista terminologico, ha dimostrato scarsa attenzione alle reciproche relazioni tra oggetto, scopo e interesse sociale, che concorrono in misura diversa a definire il contenuto dei doveri e dei poteri dell’organo amministrativo.

La legge infatti afferma che la società benefit persegue una duplice finalità, in quanto nell’esercizio dell’attività economica oltre allo scopo di dividere gli utili promuove una o più finalità di beneficio comune (si tratterebbe in tal senso dello scopo quale fine perseguito); dall’altro lato stabilisce che le finalità debbano essere specificamente indicate nell’oggetto sociale e dunque nell’ambito del cosiddetto scopo mezzo.  Infine, è previsto che tali finalità siano perseguite mediante la gestione volta al bilanciamento con l’interesse dei soci e con l’interesse dei beneficiari dell’attività sociale.

L’uso promiscuo da parte del legislatore del termine “finalità”, per riferirsi talvolta ad un generico scopo aggiuntivo rispetto a quello di lucro e altre volte invece ad una specifica attività da realizzare nell’ambito dell’oggetto sociale, lascia indeterminati i termini del rapporto finalità/attività.

Come già indicato, le società esistenti che vogliano acquisire tale qualifica dovranno modificare l’atto costitutivo (art. 1 comma 379): il legislatore non si sofferma, tuttavia, sulla questione se la modifica dell’oggetto sociale risultante dall’inserimento delle finalità di beneficio comune comporti un cambiamento significativo dell’attività della società ai sensi dell’art. 2437 I comma c.c..

A parere di chi scrive appare preferibile adottare un approccio che permetta di valutare caso per caso in che termini la modifica incida sulla complessiva attività della società.

La legge di stabilità contiene inoltre disposizioni sintetiche che, da un lato, impongono alle società benefit di individuare uno o più soggetti responsabili cui affidare funzioni e compiti volti al perseguimento delle finalità di beneficio comune e, dall’altro, stabiliscono che l’inosservanza degli obblighi connessi a tale finalità può costituire inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge e dallo statuto.

Gli amministratori della società benefit devono quindi perseguire:

  • l’interesse dei soci
  • le finalità di beneficio comune
  • gli interessi della collettività prescelta

L’individuazione di un benefit director a cui affidare compiti e funzioni sembra alludere ad un fenomeno di delega da parte dell’organo amministrativo: non deve trattarsi necessariamente di un soggetto che riveste la carica di amministratore ma ad esso non può essere attribuito il bilanciamento degli interessi previsto nella gestione delle società benefit che resta di competenza dell’organo amministrativo.

Per quanto riguarda l’inosservanza degli obblighi connessi al perseguimento del beneficio comune il legislatore configura la fattispecie come inadempimento dei doveri degli amministratori stessi sottoposto alle norme generali dettate dal codice civile: ne deriva che la condotta degli amministratori di società benefit sarà valutata secondo gli ordinari parametri di diligenza, lealtà e correttezza alla luce dei peculiari doveri assegnati a ciascuno.

Non si esclude inoltre che, la violazione di tali obblighi possa rilevare come illecito imputabile alla società a titolo di pratica commerciale scorretta o di comportamento anticoncorrenziale.

Ma vi è di più: nei confronti della società che abbia falsamente attestato il conseguimento dei benefici promessi è ammessa anche una class action diretta a tutelare gli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti.

La legge, in tema di trasparenza dell’operato, prevede poi che le società benefit:

  • redigano una relazione annuale relativa al perseguimento del beneficio comune da allegare al bilancio;
  • effettuino la valutazione dell’impatto generato sulla base dello standard esterno (le cui caratteristiche si trovano nell’allegato 5 della legge).

Vi è inoltre un controllo gerarchico da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato che interviene in caso di mancato perseguimento delle finalità dichiarate comminando le relative sanzioni amministrative, essendo soggetta alle disposizioni in materia di pubblicità ingannevole ed a quelle previste dal codice di consumo.