I giudici della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, con la sentenza 7 aprile 2017, n. 9094, sono tornati a fornire chiarimenti sulla possibilità per i creditori di agire nei confronti dei soci per debiti societari e, più nello specifico, sulla possibilità per l’Agenzia delle Entrate di agire verso i soci della contribuente per debiti tributari.

La decisione in esame trae origine dall’accertamento promosso ai fini IVA, IRAP e imposte dirette da parte dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società a responsabilità limitata per non avere presentato le dichiarazioni dei redditi per gli anni dal 2003 al 2005.

Dall’invio degli avvisi di accertamento è scaturita l’impugnazione da parte della contribuente e dei soci, i quali sostenevano le dichiarazioni fossero state inviate tardivamente per ragioni riconducibili all’intermediario incaricato della trasmissione telematica.

L’impugnazione, accolta dalla Commissione Tributaria Provinciale, è stata poi confermata anche in sede di appello da quella Regionale, la quale, peraltro, stante la produzione di documentazione a discolpa della contribuente, ha annullato le sanzioni irrogate alla società, a fronte della dichiarazione di responsabilità resa dall’intermediario.

L’Agenzia delle Entrate ha, quindi, proposto ricorso per la cassazione della sentenza d’appello articolando tre motivi cui i tre soci, di cui uno anche liquidatore della società nel frattempo cancellata dal registro delle imprese, hanno resistito con controricorso e consistenti:

  • nella falsa applicazione del D.P.R. n. 322 del 1998 art. 3, comma 10e del D. Lgs. 472 del 1997, artt. 5 e 6, per l’esclusione dell’applicazione delle sanzioni;
  • nella violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, per via dell’ammissibilità da parte del Giudice dell’appello di documentazione prodotta solo in sede contenziosa;
  • nella violazione e falsa applicazione del D.P.R. 600 del 1973, art. 41 nonché del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, a causa del riconoscimento del Giudice dell’appello del potere dell’Ufficio di ricorrere all’accertamento induttivo ma sulla base delle risultanze contabili allegate dalla parte.

I Giudici della Corte di Cassazione, preliminarmente, hanno affrontato la questione della legittimazione passiva dei soci ritenendo il ricorso ammissibile nei loro confronti e ciò seppure avessero prodotto la visura camerale ed il bilancio finale di liquidazione dal quale risultava che alcuna ripartizione era avvenuta in loro favore per mancanza di attivo.

Ebbene, tale ultimo argomento, a detta dei Giudici della Suprema Corte, non costituisce motivo valido ad escludere la loro legittimazione passiva.

Discostandosi da un precedente giurisprudenziale, secondo cui gli ex soci subentrano nel lato passivo del rapporto d’imposta nei limiti dell’attivo ripartito in esito alla liquidazione, e a conferma della meno recente decisione delle Sezioni Unite (Cass. Civ. SS UU, 31 gennaio 2013, nn. 6070 e 6072, ancorchè questa riferita a società di persone), con la sentenza in esame i Giudici della Suprema Corte giungono ad affermare che i soci sono destinati a succedere nei rapporti obbligatori in capo alla società cancellata non definiti con la liquidazione, indipendentemente dal fatto che abbiano goduto, o meno, di qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione.

I Giudici della Corte di Cassazione nell’affermare ciò muovono dalla considerazione che:

“Anche dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese, la possibilità di sopravvenienze attive, o anche la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio, valgono ad ammettere un interesse dell’Agenzia delle Entrate a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, i quali subentrano nel lato passivo del rapporto d’imposta. L’estinzione della società determina, però, l’intrasmissibilità della sanzione amministrativa tributaria”

Ovviamente, la possibilità di azionare il titolo nei confronti dei soci, qualora la società estinta sia una società di capitali, va collegato alle effettive utilità da questi ricevute, distinguendo quindi tra legittimazione passiva ed obbligo di pagamento.

Pur con tale considerazione, tuttavia, i motivi del ricorso dell’Agenzia delle Entrate sono stati tutti respinti poiché infondati.

 

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