La Suprema Corte non va in vacanza e con la sentenza n. 38882 pubblicata lo scorso 24 agosto è tornata ad esprimersi su un argomento ritenuto da sempre di grande interesse: i controlli a distanza del datore di lavoro sui lavoratori.

Nulla, però, di nuovo rispetto ai principi ormai consolidatasi negli ultimi anni in giurisprudenza.

La Sezione penale della Corte ha, infatti, rigettato il ricorso presentato da un datore di lavoro ribadendo l’illegittimità dell’istallazione dell’impianto di videosorveglianza in assenza di un accordo con le rappresentanze sindacali e/o di un provvedimento autorizzativo da parte dell’autorità amministrativa, Direzione territoriale del lavoro, indipendentemente dal consenso dei lavoratori.

La decisione si basa sull’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, ove si legge espressamente che “gli impianti audiovisivi e gli strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutale del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali […]. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro”.

Pur restando in capo al datore di lavoro l’obbligo di informare i propri lavoratori dell’installazione dell’impianto, la Corte ha comunque ritenuto non sufficiente il solo consenso dei lavoratori a legittimarne l’installazione.

È noto che i lavoratori – soggetti deboli del rapporto di lavoro – trovandosi in una posizione di disuguaglianza rispetto al proprio datore, necessitino di una maggiore tutela. Tutela che viene, quindi, prevista con l’inderogabilità della procedura esposta nello Statuto dei Lavoratori e richiamata dalla giurisprudenza.

 

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