Oggi, l’intelligenza artificiale (IA) mostra a pieno il proprio potenziale. Molteplici sono, infatti, i settori economici in cui trova applicazione: dalla sanità all’automotive, dalla finanza all’energia, dalla domotica all’industria manufatturiera.

Ma non solo. I sistemi di IA sono anche parte attiva del processo creativo: possono realizzare opere letterarie, musicali e pittoriche in maniera autonoma e persino indipendente dagli input e dall’intervento dell’uomo. Ciò è reso possibile grazie a metodi di “deep learning” che permettono al sistema di apprendere dall’esperienza attraverso un processo induttivo e di assumere autonomamente decisioni, a prescindere dalle istruzioni originariamente impartite e senza bisogno di alcun intervento umano.

In questo caso, ossia quando è impossibile per l’uomo analizzare l’enorme mole di dati da cui attinge il sistema di IA e comprendere i fattori decisivi per la produzione di un determinato risultato, l’individuazione della normativa applicabile al fenomeno non è semplice.

Da un lato, innanzitutto non esiste ancora una definizione di intelligenza artificiale, sia scientifica che normativa, convenzionalmente condivisa.

Dall’altro lato, assistiamo alla mancanza di una disciplina ad hoc, nonostante gli ammirevoli tentativi di alcuni Paesi, tra cui il Regno Unito, di proteggere le opere create dall’IA attraverso la legislazione sul diritto d’autore, in particolare, riconoscendo i diritti – morali e patrimoniali – previsti alla persona fisica che ha “determinato la creazione dell’opera”.

In Italia, seppure nel corso degli anni si siano susseguiti molteplici interventi normativi, vige ancora la legge sul diritto d’autore del 1941 (L. n. 633/1941), introdotta da un legislatore che non poteva certo prevedere l’evoluzione e la diffusione dei sistemi informatici – negli anni ’40, infatti, una “macchina” capace di creare autonomamente un’opera sarebbe parsa fantascienza – e, quindi, sceglieva di tutelare l’unico soggetto titolare di diritti immaginabile: l’uomo.

Non essendo, dunque, contemplata la creazione autonoma di un’opera da parte dell’intelligenza artificiale, permane una situazione di incertezza e ci si chiede se l’IA possa essere comunque riconosciuta come autore e, se così non fosse, chi debba essere identificato come tale.

La disciplina autorale trova applicazione? E l’intelligenza artificiale può essere considerata autrice?

Una prima tesi, rifacendosi ad un’interpretazione fedele delle norme esistenti, nega alle opere create esclusivamente da sistemi di IA ogni forma di protezione, stante la mancanza dell’indispensabile requisito della “creatività dell’uomo”. Le possibili conseguenze potrebbero essere due:

  • l’entrata di tali opere nel dominio pubblico, che comporterebbe la libera utilizzazione ed utilizzazione delle stesse da parte di chiunque, con conseguenze negative sugli investimenti per lo sviluppo e la realizzazione dei sistemi di IA, che verrebbero così attratti da Paesi dove la normativa prevede forme di protezione;
  • la segretezza delle stesse che, ostando al progresso della scienza, delle arti e della cultura in generale, rappresenterebbe un ostacolo all’innovazione.

Un’altra tesi – forse eccessivamente futuristica –  vorrebbe, invece, riconoscere la titolarità dei diritti alla stessa IA, come si potrebbe desumere dalla Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 febbraio 2017, in cui si prospetta l’introduzione di una peculiare forma di soggettività giuridica in capo all’IA in quanto “persona elettronica”.

Secondo altri ancora, troverebbe applicazione la normativa autorale, ma con necessità che lo schema classico, secondo cui la paternità e i diritti di sfruttamento economico dell’opera spettano alla persona che l’ha creata, venga adattato all’evoluzione tecnologica.

E ancora. Escludendo la soggettività giuridica della macchina dotata di IA (che non può disporre di diritti, agire in giudizio per la loro tutela e concedere licenze a terzi), a chi spettano i diritti previsti dalla legge sul diritto d’autore?

Per quanto concerne i diritti patrimoniali, tre appaiono le risposte prospettabili. Essi potrebbero essere riconosciuti in capo a:

  • chi ha ideato, creato e prodotto il software che, a questo punto, diventerebbe potenzialmente titolare dei diritti relativi a tutte le opere create, anche a seguito di comandi e funzioni inseriti da altri;
  • chi ha impostato le funzioni della macchina in modo che potesse generare l’opera in questione, individuato di volta in volta, con tuttavia la palese difficoltà di stabilire dal punto di vista tecnico se esse siano state determinanti per la realizzazione della stessa;
  • chi, essendo proprietario della macchina e indipendentemente da chi l’abbia impostata e abbia caricato i contenuti, ha dato corso allo sfruttamento economico dell’opera.

Per i diritti morali, invece, nell’ipotesi in cui l’opera sia stata interamente creata dal sistema di IA la situazione di incertezza è molto ampia. Non potendo, poi, nemmeno i soggetti succitati essere definiti autori dell’opera, restiamo in attesa delle scelte del legislatore.

Il tema è molto attuale e, in assenza di una legislazione specifica, possiamo solo valutare i pro e i contro delle possibili soluzioni, sottolineando come, ora più che mai, si sente l’esigenza di una normativa, anche a livello europeo, che disciplini il fenomeno della creazione di opere da parte dell’IA, pena la certezza del diritto.