Lo scorso 22 febbraio sono state depositate le motivazioni della sentenza n. 8770/18, con la quale la Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito alcuni aspetti controversi relativi alla responsabilità professionale sanitaria a seguito dell’entrata in vigore della Legge Gelli – Bianco (l. 8 marzo 2017 n.24).

Il contrasto giurisprudenziale al vaglio della Suprema Corte, già esaminato nell’articolo del 14 febbraio, riguarda i profili intertemporali di applicazione della legge Gelli- Bianco rispetto al previgente decreto Balduzzi, nonché il perimetro applicativo del neo introdotto art. 590-sexies del Codice Penale, recante la nuova disciplina sulla responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario.

Le Sezioni Unite in motivazione si soffermano dapprima sul ruolo determinante rivestito dalle linee guida, che ora “ambiscono a costituire non solo per i sanitari un contributo autorevole per il miglioramento della qualità del servizio, essendo tutti gli esercenti le numerose professioni sanitarie riconosciute chiamati ad attenervisi, ma anche per il giudizio penale, indici cautelari di parametrazione, anteponendosi alla rilevanza delle buone pratiche clinico assistenziali, che, elemento valorizzato nel decreto Balduzzi, assumono oggi rilievo solo sussidiario per il minor grado di ponderazione scientifica che presuppongono”.

L’art. 3 della legge Gelli – Bianco introduce un innovativo metodo di elaborazione delle linee guida, mediante l’istituzione di Enti accreditati dal Ministero della Salute deputati a raccogliere dati utili per la gestione del rischio sanitario ed a predisporre specifiche linee di indirizzo, successivamente recepite attraverso un sistema di pubblicità garantito dall’Istituto Superiore di Sanità Pubblica.

Proprio “attraverso tali precostituite raccomandazioni – argomenta la Corte – si hanno parametri tendenzialmente circoscritti per sperimentare l’osservanza degli obblighi di diligenza, prudenza, perizia. Ed è in relazione a quegli ambiti che il medico ha la legittima aspettativa di vedere giudicato il proprio operato, piuttosto che in base ad una norma cautelare legata alla scelta soggettiva del giudicante”.

La Cassazione, tuttavia, esclude con fermezza che tale sistema possa ritenersi agganciato ad automatismi, precisando, al contrario, che le linee guida debbono essere intese quali “regole cautelari valide solo se adeguate rispetto all’obiettivo della migliore cura per lo specifico caso del paziente ed implicanti, in ipotesi contraria, il dovere degli operatori sanitari di discostarsene”.

Ripercorsi i punti essenziali del contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite proseguono delineando l’ambito di applicazione del neo introdotto art. 590 sexies c.p., applicabile a “fatti inquadrabili nel paradigma dell’art. 589 c.p. o di quello dell’art. 590 c.p., quando l’esercente una delle professioni sanitarie abbia dato causa ad uno dei citati eventi lesivi, versando in colpa da imperizia e pur avendo individuato e adottato, nonché fino ad un certo punto ben attualizzato, le linee guida adeguate al caso di specie”.

Il comportamento oggetto di valutazione sarà quello che ha prodotto un evento causalmente connesso ad un errore colpevole, a sua volta dipendente dalla violazione di una prescrizione pertinente.

La ratio di tale conclusione – argomenta la Cassazione – si individua nella scelta del legislatore di pretendere “che l’esercente la professione sanitaria sia non solo accurato e prudente nel seguire l’evoluzione  del caso sottopostogli ma anche e soprattutto preparato sulle leges artis e impeccabile nelle diagnosi anche differenziali; aggiornato in relazione non solo alle nuove acquisizioni scientifiche, ma anche allo scrutinio di esse da parte delle società e organizzazioni accreditate, dunque alle raccomandazioni ufficializzate con la nuova procedura; capace di fare scelte ex ante adeguate e di personalizzarle anche in relazione alle evoluzioni del quadro che gli si presentino”.

Le Sezioni Unite concludono dunque affermando i seguenti principi di diritto:

L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica:
a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;
b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia: 1) nell’ipotesi di errore rimproverabile nell’esecuzione dell’atto medico quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o, in mancanza, dalle buone pratiche clinico-assistenziali; 2) nell’ipotesi di errore rimproverabile nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto, fermo restando l’obbligo del medico di disapplicarle quando la specificità del caso renda necessario lo scostamento da esse;
c) se l’evento si è verificato per colpa (soltanto “grave”) da imperizia nell’ipotesi di errore rimproverabile nell’esecuzione, quando il medico, in detta fase, abbia comunque scelto e rispettato le linee-guida o, in mancanza, le buone pratiche che risultano adeguate o adattate al caso concreto, tenuto conto altresì del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico.

 

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