Nel nostro ordinamento sono costituzionalmente garantite la libera circolazione del lavoro e la libera iniziativa economica e i lavoratori sono liberi di scegliere l’impresa con cui vogliono collaborare; tali comportamenti diventano tuttavia illeciti se integrano gli estremi della concorrenza sleale per storno di dipendenti. L’articolo 2598, comma 1, n. 3 del codice civile vieta infatti a un’impresa di esercitare la propria attività “in modo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.

L’ intento di arrecare danno all’impresa concorrente viene valutato non come elemento psicologico ma sulla base di criteri oggettivi. Nel corso del tempo, la giurisprudenza ha individuato quali indici di storno: i) la simultaneità del passaggio di un numero significativo di dipendenti;

ii) la qualifica dei dipendenti o la loro particolare utilità per l’impresa danneggiata;

iii) la non agevole sostituibilità dei dipendenti;

iv) i metodi per convincere i dipendenti a cambiare posto di lavoro;

v) l’immediata destinazione dei dipendenti alla frequentazione della medesima clientela;

vi) la sottrazione di informazione aziendali riservate o di segreti commerciali;

vii) le dimissioni senza osservare il periodo di preavviso.

Con riferimento a quest’ultimo indice, la Corte di Cassazione, con un’ordinanza resa il 28 maggio 2024, ha assunto una posizione più articolata.

Va premesso che, nel 2022, la Suprema Corte aveva statuito che, per poter qualificare una condotta come storno, “è essenziale che l’attività distruttiva delle risorse di personale del concorrente sia stata realizzata in modo da non poter avere altra giustificazione che non sia l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione e alla struttura produttiva del concorrente, disgregando l’efficienza aziendale e procurandosi un vantaggio competitivo”.

Con la predetta ordinanza del 2024,  la Suprema Corte, ha fatto applicazione del principio sopra enunciato e ne ha fatto discendere che lo storno non ricorre ove l’imprenditore avvii la collaborazione professionale con un dipendente che abbia posto fine al precedente rapporto di lavoro disattendendo l’obbligo di preavviso. La Corte ha motivatola decisione affermando chel’imprenditore che assume il lavoratore dimissionario non è vincolato al rispetto degli accordi che inerivano al precedente rapporto e, quindi, l’assunzione in tali circostanze non implica necessariamente una condotta disgregatrice dell’altrui impresa, salvo dimostrare che tale comportamento è univocamente finalizzato all’intenzionale scomposizione dell’organizzazione e della funzionalità dell’attività concorrente al fine di menomarne l’attività economica.