Il caso: un dipendente si dimette dando regolare preavviso ed il datore di lavoro rinuncia espressamente alla prestazione lavorativa durante il periodo di preavviso.

La questione: spetta al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso?

La Corte di Cassazione è stata nuovamente chiamata ad esaminare il caso e nell’ordinanza n. 6782 resa il 23.01.2024, pubblicata il 14.03.2024, ha confermato il proprio orientamento: il datore non lavoro non è tenuto a pagare l’indennità sostitutiva del preavviso.

La motivazione è giuridicamente interessante e merita di essere approfondita, visto che di fatto il dipendente non ha lavorato durante il periodo di preavviso per decisione del datore di lavoro.

Occorre premettere che l’istituto del preavviso, applicabile ai contratti a tempo indeterminato, adempie alla funzione economica di attenuare per la parte che subisce il recesso le conseguenze pregiudizievoli della cessazione del rapporto. (Non dimentichiamo che il recesso è un atto unilaterale recettizio di esercizio di un diritto potestativo.)

Così, in caso di recesso del datore di lavoro -licenziamento-, il preavviso ha la funzione di garantire al lavoratore licenziato la continuità della percezione della retribuzione in un certo lasso di tempo al fine di consentirgli di reperire una nuova occupazione; in caso di recesso del lavoratore -dimissioni-, il preavviso ha la finalità di assicurare al datore di lavoro il tempo necessario per sostituire il lavoratore dimissionario.

Il preavviso può essere oggetto di rinuncia dalla parte che subisce il recesso: il lavoratore nel caso di licenziamento e il datore di lavoro nel caso di dimissioni.

La rinuncia al preavviso è giudicata possibile dalla Corte di Cassazione, che da tempo ritiene che il preavviso abbia efficacia obbligatoria. In sintesi, la Corte configura il preavviso come un obbligo accessorio e alternativo dell’esercizio del recesso: la parte che recede è libera di optare tra la prosecuzione del rapporto durante il periodo di preavviso e la corresponsione dell’indennità sostitutiva all’altra parte. In conseguenza,  nella seconda ipotesi, vale a dire in caso di pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso, il recesso ha effetto immediato.

Dunque, in capo alla parte che subisce il recesso sorge un diritto di credito al preavviso. Trattasi però di un diritto cui la parte può liberamente rinunciare.

Pertanto, dalla natura obbligatoria del preavviso discende che la parte che subisce il recesso e che abbia rinunciato al preavviso (nel caso in esame il datore di lavoro) nulla deve alla parte recedente (il lavoratore dimissionario) che non può vantare alcun diritto alla prosecuzione del rapporto fino al termine del preavviso.

Visto che il preavviso è liberamente rinunciabile, la parte che vi ha rinunciato non ha obblighi.

In conclusione, la rinuncia del datore di lavoro alla prestazione durante il periodo di preavviso non fa sorgere in capo al lavoratore dimissionario il diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva.

La questione assume particolare rilevanza economica nel rapporto di lavoro dirigenziale. La Corte di Cassazione si era occupata del caso di un dirigente dimissionario, che aveva accettato di essere esonerato dal periodo di preavviso da parte del datore di lavoro. Sulla base della natura obbligatoria del preavviso la Corte ha respinto la pretesa del dirigente, che aveva sostenuto che la sottoscrizione per accettazione della rinuncia al preavviso non era da intendersi anche come rinuncia all’indennità sostitutiva (ordinanza n. 27934 del 13.10.2021).