Con la sentenza n. 23736, depositata il 22.11.2016, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui anche le aziende che ricorrono alla procedura dei licenziamenti collettivi per cessazione dell’attività devono osservare tutti gli obblighi previsti dalla L. n. 223/1991.

In caso di chiusura, con conseguente licenziamento di tutti i lavoratori, il mancato ovvero l’intempestivo invio da parte dell’impresa della comunicazione prevista dall’art. 4 comma 9 L. n. 223/1991 comporta l’illegittimità del licenziamento.

Si ricorda che il predetto art. 4 (come novellato dall’art. 1 comma 4 L. n. 92/2012) dispone, al comma 9, che il datore di lavoro che ricorre alla procedura di licenziamento collettivo ha l’obbligo di comunicare per iscritto agli Enti competenti nonché alle organizzazioni sindacali, entro il termine di sette giorni dal recesso operato, l’elenco dei lavoratori in esubero ed i criteri di scelta applicati e, al comma 12, stabilisce altresì quale sanzione l’inefficacia delle comunicazioni effettuate senza l’osservanza della forma scritta e delle procedure previste dal presente articolo”.

LA CESSAZIONE DELL’ATTIVITA’ NON ESCLUEDE GLI OBBLIGHI DI COMUNICAZIONE NELLA PROCEDURA DI LICENZIAMENTO COLLETTIVO

Con la pronuncia in questione la Corte di Cassazione ha precisato che se è pur vero che la scelta di cessare l’attività costituisce un “esercizio incensurabile della libertà di impresa garantita dall’art. 41 Cost.”, il rispetto dei termini previsti dalla procedura e l’obbligo di comunicare i motivi della scelta hanno comunque la funzione di consentire il controllo sindacale sulla effettività delle scelta adottata e di assicurare ai lavoratori la tutela previdenziale e sociale a cui gli stessi hanno diritto.

Pertanto, se l’impresa, pur cessata, non ha correttamente adempiuto all’obbligo di comunicazione di cui al comma 9 dell’art.4 L. n.223/1991, il lavoratore può validamente contestare la legittimità del licenziamento, a nulla rilevando il fatto che, ad esempio, non vi sia stata concretamente una violazione dei criteri di scelta che nella fattispecie esaminata dalla Cassazione, non era nemmeno potenziale, posto e considerato che tutti i dipendenti erano stati licenziati.

La sentenza citata offre anche lo spunto per un breve memo su quelle che sono le novità principali che interverranno dal prossimo mese di gennaio nell’ambito dei licenziamenti collettivi con specifico riferimento agli aspetti contributivi.

Come noto, dal 1° gennaio 2017 saranno definitivamente abrogate le disposizioni relative alla mobilità.

Dalla predetta data non sarà quindi più dovuto il contributo d’ingresso alla mobilità per i datori di lavoro soggetti alla cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS).

Tale contributo sarà, infatti, sostituito dal versamento, a recessi avvenuti, dal c.d. ticket di licenziamento, volto al finanziamento della NASPI:  il datore di lavoro dovrà, infatti, versare, per ogni lavoratore licenziato, una somma pari al 41 per cento del massimale mensile di NASPI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni; nei casi di licenziamento collettivo in cui la dichiarazione di eccedenza del personale non abbia formato oggetto di accordo sindacale, il ticket di licenziamento sarà triplicato.

E’ opportuno rammentare che l’anzidetta modifica del contributo di finanziamento è, di fatto, correlata alla diversa tutela economica di sostegno al reddito consistente nel passaggio dall’indennità di mobilità all’indennità NASPI.

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