Torniamo, dopo averne scritto il 20 settembre 2017, sulla questione dell’equiparabilità della cessione di azioni alla cessione di azienda e sulla conseguente applicazione da parte dell’amministrazione finanziaria dell’imposta di registro in misura proporzionale.

L’Agenzia delle Entrate fonda il proprio indirizzo sull’interpretazione sostanzialistica dell’art. 20 D.P.R. n. 131/1986 e richiama a sostegno dello stesso, l’orientamento giurisprudenziale espresso dalla Corte di Cassazione (cfr. n. 11666/2009 n. 24594/2015 e n. 11877/2017): la vendita totalitaria di azioni o quote di società è assoggettata ad imposta di registro alla stregua di una cessione di azienda in quanto produce i medesimi effetti giuridici ed economici.

Grazie alle modifiche apportate dalla legge di bilancio 2018, come espressamente chiarito nelle relazioni illustrative e tecniche di accompagnamento alla legge, il legislatore ha voluto disconoscere l’orientamento tradizionale in ragione del quale l’Amministrazione finanziaria, negli ultimi tempi, riqualificava tutte le cessioni totalitarie di azioni e quote in cessioni d’azienda, al fine di applicare a tali atti l’imposta proporzionale e non in misura fissa.

L’art. 20 D.P.R. n. 131/1986 è stato dunque modificato e, ad oggi, prevede:

L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra-testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

Il legislatore ha dunque posto un importante limite all’interpretazione dell’atto da registrare: la natura di tale atto deve essere determinata solo sulla base degli elementi in esso contenuti.

Ciò significa, in altri termini, che l’Amministrazione finanziaria non è più legittimata a sostituire discrezionalmente una forma giuridica con un’altra, soltanto perché più fiscalmente onerosa.

E’ ben chiaro infatti che la cessione totalitaria delle azioni o delle quote non determina gli stessi effetti giuridici ed economici di quelli prodotti dalla vendita dell’azienda: pertanto, tali negozi non possono essere considerati equivalenti e assoggettabili alle medesime imposte.

Più precisamente, nel caso di vendita totalitaria delle azioni o delle quote viene trasferita la proprietà del soggetto giuridico titolare dell’azienda con tutti i suoi elementi costitutivi palesi e occulti, attuali e potenziali, comprese attività e passività; invece nel caso di cessione di azienda oggetto della cessione è quanto posseduto da un determinato soggetto giuridico e tutto ciò che è specificamente convenuto tra i contraenti nella compravendita.

Del resto tale distinzione è sempre stata ribadita dal Ministero delle Finanze con numerose risoluzioni aventi ad oggetto l’art. 11 della Tariffa Parte I del D.P.R. n. 131/1986 (cfr. n. 47/E/2006 n. 251368/1983 e n. 310356/1989).

Alla luce di ciò, le modifiche apportate all’art. 20 D.P.R. n. 131/1986 dalla Legge di Bilancio 2018, entrate in vigore il 1 gennaio 2018 e applicabili retroattivamente agli atti formati e registrati prima di tale data, hanno l’esclusivo scopo di chiarire la corretta tassazione dell’atto, escludendo interpretazioni che equiparano la cessione totalitaria delle partecipazioni a una cessione d’azienda restando la prima soggetta a registrazione in termine fisso.

 

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