L’ordinanza n. 25288 del 11 novembre 2020 della Terza Sezione della Corte di Cassazione offre un interessante spunto di riflessione in materia di responsabilità delle strutture sanitarie, soprattutto in un contesto come quello dell’attuale emergenza sanitaria.

Il caso esaminato è quello di una paziente psichiatrica al quinto mese di gravidanza, ricoverata con una diagnosi di “disturbo depressivo con spunti e tematiche deliranti” e sottoposta a TSO a causa dell’aggravarsi della sua sintomatologia. Essendo controindicata la somministrazione di farmaci in ragione del suo stato di gravidanza, la donna era stata sottoposta a contenzione fisica mediante l’applicazione di fasce volte a bloccare mani, piedi e busto, con costante monitoraggio degli operatori sanitari. La paziente era comunque riuscita, inaspettatamente e repentinamente, a divincolarsi procurandosi una lesione all’occhio sinistro.

Nel giudizio di primo grado la donna si è vista rigettare la domanda risarcitoria azionata nei confronti della struttura, non ravvisando il Giudice alcun inadempimento o condotta omissiva imputabile ai sanitari, attesa l’imprevedibilità dell’evento determinato dalla stessa danneggiata.

La Corte di Appello, al contrario, ha accolto l’impugnazione della donna e ha condannato la struttura al risarcimento dei danni, ritenendo non adempiuta la prestazione a carico dei sanitari; ciò, senza però chiarire le misure alternative esigibili, anche in relazione allo stato di gravidanza e all’impossibilità di immobilizzazione assoluta della paziente.

I giudici di legittimità hanno, poi, cassato la sentenza d’appello, affermando il principio secondo cui, per accertare la responsabilità della struttura sanitaria “non è sufficiente l’inadeguatezza delle misure adottate ma occorre verificare quali misure avrebbero dovuto essere adottate nel caso concreto per evitare l’evento”.

La Suprema Corte, dopo essersi soffermata sul tema del nesso di causalità materiale tra la condotta dei sanitari e l’evento lesivo, giunge ad evidenziare come la questione relativa al carattere repentino del gesto autolesivo compiuto dalla donna non assuma rilievo sotto tale aspetto, quanto invece ai fini della prova liberatoria a carico dei sanitari, ovvero per verificare se ricorra quella “causa imprevedibile ed inevitabile che ha reso impossibile la prestazione”.

Il Giudice di appello, invero, pur dando atto dell’impossibilità di realizzare un’immobilizzazione assoluta, aveva concluso che i presidi adottati non fossero adeguati alla situazione; pur tuttavia, non si era interrogato sul diverso comportamento che, anche in considerazione delle peculiarità del caso concreto, si sarebbe potuto/dovuto esigere dalla struttura sanitaria.

Il principio espresso dalla Cassazione si presta evidentemente a trovare applicazione anche rispetto al contesto attuale dell’emergenza sanitaria, in relazione ad ipotesi di responsabilità per difetto di organizzazione delle strutture sanitarie. In tali casi, al fine di andare esenti da ogni responsabilità, le strutture dovranno quindi dimostrare, in alternativa al fatto che l’inadempimento è stato determinato da un impedimento oggettivamente imprevedibile ed inevitabile, di aver puntualmente adempiuto alle proprie obbligazioni predisponendo tutte le misure adeguate ad evitare, nel caso concreto, l’evento (e quindi a scongiurare il rischio di contagio).