Di GPS e di sistemi di geolocalizzazione avevamo parlato tempo fa (articolo qui).

Da allora, l’utilizzo di tali strumenti è diventato sempre più diffuso in ambito lavorativo.

Sono, infatti, diverse le ragioni che determinano l’imprenditore a dotarsi di tali dispostivi: assicurative, sicurezza, ma anche al fine di efficientare lo svolgimento dell’attività.

E’ bene ricordare che, circa i sistemi in esame, l’Ispettorato del Lavoro si era espresso, con propria circolare n.2 del 2016, nel senso di considerare, in linea di massima, i medesimi come un elemento “aggiunto” agli strumenti di lavoro, con la conseguenza che le relative apparecchiature possono essere installate, ai sensi dell’art.4, comma 1 dello Statuto dei Lavoratori, solo previo accordo sindacale o in forza di autorizzazione da parte dell’Ispettorato stesso.

L’Ispettorato aveva, però, anche osservato che qualora tali sistemi siano installati per consentire la concreta ed effettiva attuazione della prestazione lavorativa (nel senso che la stessa non può prescindere da tali strumenti) ovvero l’installazione sia richiesta da specifiche normative (ad esempio, uso dei sistemi GPS per il trasporto di valori), gli stessi si trasformano in veri e propri strumenti di lavoro: in tale ipotesi, si può, dunque, prescindere dall’accordo sindacale o dal provvedimento amministrativo.

Imprescindibile, in ogni caso, il rispetto della normativa in materia di trattamento dei dati (privacy).

Ora, con la pronuncia dello scorso dicembre (sentenza n.26968), la CEDU ha trattato proprio la fattispecie dell’utilizzo di GPS in ambito lavorativo.

Il caso riguardava un informatore scientifico licenziato da un’azienda farmaceutica operante in Portogallo, a seguito di contestazione basata sul controllo incrociato dei dati rilevati dal GPS installato nel veicolo aziendale e delle informazioni che lo stesso dipendente aveva indicato su un’apposita App.

Al lavoratore era stato, infatti, imputato di avere aumentato il numero dei chilometri percorsi per ragioni di lavoro, allo scopo di ricomprendervi quelli relativi a viaggi privati.

Ricorrendo alla CEDU il lavoratore ha dedotto l’invalidità del provvedimento espulsivo, lamentando la violazione del diritto al rispetto della vita privata, previsto dall’art.8 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo.

La Corte di Strasburgo dopo avere premesso che, da un punto di vista teorico, l’installazione di GPS può rivelarsi uno strumento in grado di incidere sul diritto al rispetto della vita privata, è però  poi giunta alla conclusione che tale installazione ed il conseguente utilizzo dei dati rilevati non viola l’art.8 sopra citato qualora il datore di lavoro abbia osservato le prescrizioni procedurali, se richieste (accordo sindacale o autorizzazione amministrativa) ed abbia correttamente e compiutamente dato l’informativa ai lavoratori, che riguarda più aspetti, tra cui il motivo dell’installazione, il trattamento dei dati e le conseguenze disciplinari in caso di condotte illecite.

In definitiva: massima attenzione agli adempimenti da adottare sia prima dell’installazione di sistemi di geolocalizzazione sia per disciplinarne il successivo utilizzo.