Nella news dello scorso 19.09.2018 vi avevamo segnalato il contrasto giurisprudenziale sorto in ordine alla validità degli atti traslativi, in caso di irregolarità urbanistica del bene compravenduto.

Contrasto su cui eravamo in attesa della pronuncia dirimente delle Sezioni Unite.

Tale pronuncia è finalmente giunta con la recente sentenza n. 8230 del 22.03.2019.

Ma, andiamo con ordine.

L’art 40 della L. 47/1985 e l’art. 46 del D.P.R. 380/2001 sanzionano con la nullità gli atti traslativi che non riportino la dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che la costruzione dell’immobile oggetto del contratto è iniziata in data antecedente al 17.03.1985, oppure la dichiarazione dell’alienante degli estremi delle licenze edilizie, delle concessioni edilizie in sanatoria o quantomeno, se non previsto il rilascio di queste ultime, della prova del pagamento della sanzione pecuniaria comminata.

Tale disposizione ha dato luogo a due orientamenti contrapposti:

Teoria cd. Formale: per la validità dell’atto traslativo è sufficiente che l’alienante menzioni nel contratto i titoli edilizi abilitativi, o dichiari che il bene sia stato realizzato in data anteriore al 01.09.1967, a prescindere dalla sua effettiva regolarità urbanistica.

Si tratta, evidentemente, di una tesi che privilegia l’interpretazione letterale del dato normativo e favorisce la commerciabilità del bene, consentendo di sanare l’omissione delle dichiarazioni richieste all’alienante mediante la semplice rinnovazione dell’atto traslativo.

Ciò, se l’omissione è frutto di semplice dimenticanza e le concessioni edilizie sussistono ab origine.

Teoria cd. sostanziale: l’atto traslativo è valido solo se i relativi titoli abilitativi:

  • vengono menzionati nell’atto traslativo;
  • sussistono e si riferiscono al bene oggetto del contratto;
  • corrispondono perfettamente all’attività edilizia realizzata.

Si tratta, in questo caso, di una concezione che vuole porre l’attenzione sulle finalità pubblicistiche dell’obbligo di menzionare i titoli abilitativi, con lo scopo di rendere incommerciabili tutti gli immobili che non siano in regola dal punto di vista urbanistico, a prescindere dal rispetto delle dichiarazioni formali richieste all’alienante.

Orbene, le Sezioni Unite, dopo aver mosso critiche ad entrambi gli orientamenti formatesi, si è espressa a favore di una soluzione intermedia.

I giudici di legittimità hanno, infatti, concluso nel ritenere che, alla base della disciplina che impone le dichiarazioni dell’acquirente, vi sia la volontà del legislatore di ostacolare la circolazione degli immobili abusivi, senza, tuttavia, arrivare a vietarla.

Le dichiarazioni imposte all’alienante hanno, perciò, mera funzione informativa, con lo scopo di porre l’acquirente nella condizione di poter effettuare le opportune valutazioni sulla convenienza dell’affare, verificando la conformità dei titoli abilitativi al bene oggetto del contratto.

In conclusione, quindi, mediando fra le due tesi contrapposte, le Sezioni Unite hanno stabilito che, affinché l’atto traslativo sia valido, non sono sufficienti le mere menzioni delle concessioni edilizie da parte dell’alienante, ma occorre che tali dichiarazioni siano veritiere e, quindi, che i titoli menzionati nell’atto sussistano e siano afferenti al bene oggetto dell’atto traslativo.

Restando, invece, irrilevante, ai fini della configurabilità della nullità, la corrispondenza dell’attività edificatoria posta in essere rispetto ai titoli menzionati in atti.