Il 3 ottobre è stata pubblicata una ordinanza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, che affronta la questione del licenziamento a fronte del rifiuto del lavoratore di svolgere attività indicate dal datore di lavoro (ordinanza n. 24118 del 22 maggio 2018).

In sintesi, il caso è quello di una cuoca, operante nel servizio ristorazione appaltato presso una scuola d’infanzia comunale, licenziata in quanto si era ripetutamente rifiutata di portare in classe le colazioni, dopo averle preparate.

La Corte premette che è vero che la richiesta datoriale di portare in classe le colazioni rivolta alla lavoratrice esulava dalle mansioni corrispondenti al livello di inquadramento assegnato, concretandosi nello svolgimento di compiti di natura esecutiva propri di un livello inferiore. Precisa, tra l’altro, che si tratta di attività che neppure può definirsi complementare ai compiti propri del livello assegnato.

Tuttavia, la Corte conclude per la legittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo soggettivo.

Come è possibile?

E’ possibile in quanto, secondo la Corte, la illegittimità/legittimità del licenziamento dipende dalla giustificatezza/ingiustificatezza del rifiuto del lavoratore.

Secondo la Corte, il rifiuto della prestazione lavorativa è giustificato solo se connotato da criteri di positività, proporzionato e conforme a buona fede.

La Corte ha anche riempito di contenuto i criteri forniti per valutare la giustificatezza o meno del rifiuto.

L’iter giuridico seguito dalla Corte parte dall’obbligo in capo al lavoratore di osservare le disposizioni per l’esecuzione del lavoro impartite dal datore di lavoro per giungere ad affermare che lo stesso lavoratore può rendersi inadempiente legittimamente solo in caso di totale inadempimento del datore di lavoro, vale a dire nel caso in cui l’inadempimento del datore di lavoro sia tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo o da esporlo a responsabilità penale per lo svolgimento delle nuove mansioni.

Dunque, l’assegnazione di compiti non rispondenti alla qualifica può consentire al lavoratore di chiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza, ma non lo autorizza a rifiutarne apriori l’adempimento.

Il rifiuto è legittimo nel caso in cui lo svolgimento dei compiti richiesti sia pericoloso per la salute e sicurezza del lavoratore o lo esponga a responsabilità penali.

Il ragionamento giuridico della Corte si fonda sugli artt. 2086, 2094, 2104 e 1460 c.c., che si riportano per i non addetti ai lavori.

Art. 2086 Codice Civile – Direzione e gerarchia nell’impresa

L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori.

Art. 2094 Codice Civile – Prestatore di lavoro subordinato

E’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.

Art. 2104 Codice Civile – Diligenza del prestatore di lavoro

Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale.

Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto.

Tuttavia non può rifiutarsi l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede.

Art. 1460 Codice Civile – Eccezione di inadempimento

Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto.

Tuttavia non può rifiutarsi l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede.

 

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