La domanda è quantomai di stretta attualità.

Consideriamo, infatti, che l’organizzazione del lavoro e la ridistribuzione di compiti tra i lavoratori in un contesto emergenziale come quello in corso richiede decisioni del datore di lavoro sempre più immediate per gestire situazioni imprevedibili ma che si possono anche protrarre per un certo lasso di tempo.

L’art.2103 c.c. prevede, come principio generale, che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che ha successivamente acquisito ovvero, in ogni caso, a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale (operaio, impiegato, quadro o dirigente) delle ultime effettivamente svolte.

Tuttavia, l’art.2103 c.c. contempla possibili deroghe alla regola anzidetta.

È, infatti, ammissibile l’assegnazione al lavoratore di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore – purché rientranti nella medesima categoria legale  – in caso di:

  1. modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore;
  2. previsione dei contratti collettivi, sottoscritti, eventualmente, anche a livello aziendale.

In tali ipotesi, è fondamentale ricordare che il mutamento di mansioni in peius deve essere comunicato per iscritto, a pena di nullità e quindi per la sua validità.

Inoltre, pur variando le mansioni, il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento anteriore alla modifica, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.

Per valutare se le attività rientrano nella medesima categoria legale occorre fare riferimento alla classificazione prevista dal CCNL applicato al rapporto di lavoro.

Cosa accade, però, se l’assegnazione di mansioni inferiori è marginale rispetto ai compiti complessivamente svolti dal lavoratore?

Occorre chiarire che la marginalità di cui si parla deve essere valutata rispetto alla totalità delle attività espletate dal lavoratore e non deve necessariamente essere intesa anche e solo in termini di mera occasionalità.

Sul punto, la Cassazione, con la recente ordinanza n.22668/2020, rifacendosi ad un orientamento giurisprudenziale già esistente, ha ribadito il principio secondo il quale il lavoratore può legittimamente essere adibito a compiti inferiori anche in ipotesi diverse da quelle previste dall’art.2103 c.c. a condizione, però, che tali attività siano, appunto, marginali rispetto a quelle del proprio livello e purché tale assegnazione sia motivata da comprovate esigenze aziendali.