Mercoledì 4 maggio, in Commissione Trasporti ed Attività Produttive della Camera, è iniziato l’esame della proposta di legge n. 3564 presentata il 2 marzo scorso e rubricata Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per l’economia della condivisione.

In attesa delle linee guida dell’Unione Europea, che dovrebbero essere pubblicate a giugno, l’Italia prova per prima a regolamentare in modo organico una materia incandescente. Sono infatti di questi giorni la notizia del possibile accordo transattivo tra il colosso UBER ed i conducenti di San Francisco che chiedevano il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro e quella del divieto previsto dal Comune di Berlino di affittare il proprio appartamento usando Airbnb, con multe fino a 100.000 Euro per i trasgressori.

Il tentativo, fin ora ipotizzato solo in Belgio, di normare un settore in crescita esponenziale appare complesso considerata la fluidità dei servizi offerti: case, passaggi in auto, cene, piccoli lavoretti, ormai la sharing economy tocca ogni aspetto del vivere quotidiano. Altrettanto variegati sono gli operatori economici coinvolti: dai giganti come Uber e Airbnb alle piccole piattaforme, 110 censite solo in Italia.

La proposta di legge è scritta nell’ottica di creare una cornice generale per le piattaforme digitali che operano nel campo della sharing economy definita come “l’economia generata dall’allocazione ottimizzata e condivisa delle risorse di spazio, tempo, beni e servizi tramite piattaforme digitali. I gestori di tali piattaforme agiscono da abilitatori mettendo in contatto gli utenti e possono offrire servizi di valore aggiunto. I beni che generano valore per la piattaforma appartengono agli utenti. Tra gestori ed utenti non sussiste alcun rapporto di lavoro subordinato. Sono escluse le piattaforme che operano intermediazione professionale in favore di operatori professionali iscritti al Registro Imprese”.

SHARING ECONOMY: L’ITALIA VERSO UNA REGOLAMENTAZIONE?

Di che cosa si tratta?

Il concetto in sé è semplice. Una piattaforma digitale mette in contatto chi offre i suoi servizi (utente operatore nella proposta di legge) e chi intende beneficiarne (utente fruitore). Qualora il servizio offerto sia a pagamento, la piattaforma può trattenere una parte del prezzo.

Le implicazioni giuridiche sono, tuttavia, amplissime: dalla concorrenza sleale (basti pensare alla nota vicenda taxi/UBER), all’elusione fiscale, al rapporto giuridico fra operatore telematico ed utente operatore.

Quest’ultimo profilo non viene quasi affrontato dalla proposta di legge mentre viene trattato l’aspetto fiscale al fine di differenziare chi offre servizi per integrare il reddito da chi lo fa come attività professionale. La soglia scriminante è fissata in 10.000 Euro l’anno: al di sotto verrà applicata un’imposta del 10% mentre, al di sopra, “i redditi saranno cumulati con quelli da lavoro dipendente o autonomo e ad essi verrà applicata l’aliquota corrispondente”. I gestori opereranno quali sostituti di imposta degli utenti operatori. Tutti i pagamenti dovranno avvenire in forma digitale.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) vigilerà sull’attività delle piattaforme che dovranno obbligatoriamente iscriversi al “Registro elettronico nazionale delle piattaforme digitali dell’economia della condivisione”, presentando un “Documento di politica aziendale” contenente le condizioni contrattuali tra la piattaforma e gli utenti. Il Documento sarà soggetto al parere vincolante dell’AGCM che valuterà una serie di requisiti fra i quali l’assenza: di esclusive o condizioni preferenziali dell’utente operatore in favore della piattaforma, di controlli sull’esecuzione della prestazione e di tariffe obbligatorie. Eventuali clausole difformi saranno considerate nulle mentre l’omessa iscrizione al Registro comporterà la sospensione del servizio e l’irrogazione di sanzioni sino al 25% del fatturato del periodo durante il quale l’attività è stata esercitata in assenza di iscrizione.

Vengono poi previste una serie di disposizioni a tutela della riservatezza e degli obblighi volti a consentire il monitoraggio dell’evoluzione della sharing economy: i gestori delle piattaforme dovranno comunicare all’ISTAT i dati relativi al numero di utenti, alle attività svolte, al fatturato ed alla tipologia di beni e servizi utilizzati.

In attesa di seguire l’iter legislativo, di sharing economy parleremo domani nel nostro studio di Busto Arsizio in occasione della presentazione del libro Mi fido di te di Gea Scancarello.

 

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