Un aspetto spesso dibattuto a livello condominiale è la proprietà del sottotetto e, precisamente, se tale bene sia condominiale, ovvero di proprietà del titolare dell’appartamento dell’ultimo piano.

Il problema nasce nel momento in cui i titoli di proprietà non dispongono nulla in merito.

Recentemente la Corte di Cassazione è tornata nuovamente sull’argomento ribadendo le linee guida a cui attenersi per accertare la titolarità di detto bene.

In particolare, i giudici di legittimità hanno statuito che per verificare la natura condominiale, ovvero privata, del sottotetto bisogna aver riguardo, in primis, alla sussistenza di eventuali atti di proprietà.

In mancanza, occorrerà appurare la funzione svolta dal manufatto anche tenuto conto delle sue dimensioni e caratteristiche strutturali.

Se, infatti, il sottotetto ha la mera finalità di isolare e proteggere l’appartamento posto all’ultimo piano dal caldo, freddo ed umidità, fungendo da camera d’aria isolante, si dovrà ritenere una pertinenza di tale immobile e, dunque, di proprietà esclusiva del relativo proprietario.

Laddove, invece, il sottotetto sia tale da rappresentare un vano autonomo destinabile, sia pure solo in via potenziale, all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, opererà la presunzione di cui all’art. 1117 c.c. e tale manufatto dovrà ritenersi di proprietà condominiale (Cass. civ. 18.04.2023 n. 10269).

Sulla scorta di tali presupposti, la Corte di Cassazione ha qualificato come pertinenza dell’appartamento dell’ultimo piano un sottotetto non facilmente accessibile, se non tramite botola munita di scala retrattile, privo di finestre o punti luce e di altezza tale da impedire, anche nei punti più alti, il facile movimento. La valutazione in ordine alla titolarità del sottotetto, dunque, in assenza di titoli di proprietà specifici, dovrà essere condotta caso per caso in base alle caratteristiche strutturali e funzionali del bene.