Tema sempre attuale è quello della distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato.

Se ne è, infatti, parlato diffusamente anche al Convegno nazionale AGI – Associazione Giuslavoristi Italiani dal titolo Lavoro 4.0. Innovazione digitale categorie giuridiche alla prova, tenutosi a Bologna il 26 e 27 ottobre scorsi.

In particolare, si è discusso di Industria 4.0, Gig Economy e delle nuove forme di lavoro – su tutte quelle oramai comunemente definite “digitali” -, alcune delle quali aventi caratteristiche fin troppo innovative e soggette a costante e repentina evoluzione con conseguente difficoltà per l’ordinamento giuridico di starne al passo.

A ribadire alcuni principi in materia è comunque intervenuta recentemente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25711/2018, depositata il 15 ottobre 2018.

Con la pronuncia in questione, i giudici di legittimità hanno, infatti, nuovamente affermato che “quando l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni (e, in particolare, della loro natura intellettuale o professionale) e del relativo atteggiarsi del rapporto”, è indispensabile considerare i cosiddetti “criteri complementari” quali:

  • la collaborazione del lavoratore,
  • la continuità delle prestazioni,
  • l’osservanza di un orario determinato,
  • l’erogazione a cadenze fisse di un compenso prestabilito,
  • il coordinamento dell’attività lavorativa rispetto all’assetto organizzativo imposto dal committente,
  • l’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale.

La Cassazione ha, però, chiarito che la valutazione di tali elementi complementari deve avvenire in modo complessivo al fine di svolgere una corretta indagine su come il rapporto di lavoro si è concretamente svolto.

La Cassazione ha, inoltre, ricordato che “la formale qualificazione delle parti in sede di conclusione del contratto individuale non impedisce di accertare il comportamento tenuto dalle parti nell’attuazione del rapporto di lavoro, al fine della conseguente qualificazione giuridica dello stesso come lavoro autonomo ovvero lavoro subordinato”.

Ha, però, aggiunto, richiamando proprie precedenti decisioni, che il nomen iuris adottato dalle parti in sede contrattuale, se pur non ha valore vincolante (la sostanza supera, infatti, la forma), non può essere del tutto escluso soprattutto nei casi in cui sia particolarmente arduo delimitare il confine tra subordinazione a autonomia.

 

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