Con la CSDDD la UE si è posta l’obiettivo di obbligare le imprese a gestire in modo responsabile gli impatti sociali e ambientali nell’ambito dell’intera supply chain, comprendendo nella catena di approvvigionamento anche le operazioni commerciali.

In estrema sintesi, la CSDDD impone alle imprese di agire sugli effetti negativi delle proprie attività sui diritti umani (considerando gli aspetti dello sfruttamento dei lavoratori e del lavoro minorile) e sull’ambiente (dal punto di vista non solo dell’inquinamento, ma anche della perdita di biodiversità).

Le imprese saranno tenute ad individuare gli effetti negativi reali o potenziali sui diritti umani e sull’ambiente, a prevenire o attenuare gli effetti potenziali, ad eliminare o ridurre al minimo gli effetti reali.

Come? Si parla di due diligence obligation, nel senso che le imprese saranno tenute ad una due diligence in termini di diritti umani e di impatto ambientale delle proprie attività. Non solo: dovranno essere contemplate anche le attività dei fornitori e dei subappaltatori.

Se dunque le imprese dovranno valutare i rischi di impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente anche nelle proprie catene di approvvigionamento, in conseguenza dovranno includere la valutazione di fornitori e di subappaltatori, definendo standard e requisiti nonchè procedure di monitoraggio delle prestazioni dei medesimi fornitori e subappaltatori.

Soprassedendo qui dall’approfondire gli innumerevoli e davvero complessi aspetti della norma, il richiamo a fornitori e subappaltatori impone di considerare che, se è vero che la CSDDD si applica direttamente a imprese con determinati e specifici requisiti, vi saranno ricadute anche per le imprese escluse dall’ambito soggettivo di applicazione, appunto i fornitori e i subappaltatori.

Le imprese interessate dalla CSDDD possono dividersi in due macrogruppi: il primo comprende le imprese dell’Unione Europea con oltre 500 dipendenti e un fatturato superiore ai 150 milioni di euro nonché altre imprese che operano in settori ad alto impatto con più di 250 dipendenti e un fatturato pari o superiore a 40 milioni di euro; il secondo comprende le imprese di paesi terzi operanti nell’UE con una soglia di fatturato generato nell’Unione Europea in linea con le soglie sopra menzionate.

Tra i settori definiti ad alto impatto vi sono quelli della (i) fabbricazione di prodotti tessili, pelle e prodotti correlati e il commercio all’ingrosso di tessuti, abbigliamento e calzature; (ii) agricoltura, silvicoltura, pesca, fabbricazione di prodotti alimentari e commercio all’ingrosso di materie prime agricole, animali vivi, legno, cibo e bevande; (iii) estrazione di risorse minerarie indipendentemente dal luogo in cui sono estratte (compresi petrolio greggio, gas naturale, carbone, lignite, metalli e minerali metallici, nonché tutti gli altri minerali non metallici e prodotti di cava), la fabbricazione di prodotti in metallo di base, altri prodotti minerali non metallici e prodotti in metallo (tranne macchinari e attrezzature) e il commercio all’ingrosso di risorse minerarie, prodotti minerali di base e intermedi (compresi metalli e minerali metallici, materiali da costruzione, combustibili, prodotti chimici e altri prodotti intermedi).

Dunque, se è vero che le piccole e medie imprese sono formalmente escluse dagli obblighi della Direttiva, tuttavia, le relazioni con le imprese che vi sono soggette implicheranno oneri e correlativi costi anche per le PMI che fanno parte della filiera globale.

Vero è che l’iter di approvazione della CSDDD non è ancora concluso.

La proposta di Direttiva è stata sottoposta al Parlamento europeo, che il 1° giugno 2023 ha votato a maggioranza per rafforzare la proposta iniziale della Commissione europea concordata lo scorso dicembre 2022.

Lo scorso 14 dicembre i negoziatori del Consiglio dei ministri e del Parlamento europeo hanno raggiunto un’intesa di compromesso (gli aspetti più controversi hanno riguardato l’inclusione della finanza e l’obbligo di attuare piani climatici).

Dopo i voti finali del Parlamento e del Consiglio dei ministri, la Direttiva entrerà in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta europea e gli Stati membri avranno due anni per recepirla.

In conclusione, gli obblighi non sono certo imminenti, ma il lavoro da fare sarà tanto ed è già il momento di pensarci .