Partendo dal presupposto che il vaccino è misura di prevenzione e protezione per sé e per la collettività, abbiamo tutti letto ed ascoltato gli interventi dei giuristi più esimi sul tema del rifiuto del dipendente di sottoporsi al vaccino anti covid-19.

Non intendo qui riassumere le diverse e contrapposte posizioni, da Guariniello a Ichino, ai colleghi che hanno approfondito il tema con differenti argomentazioni.

Premetto che, a mio parere, presentare il licenziamento come strada immediatamente percorribile senza intoppi è fuorviante.

Qui intendo proporre una strada diversa, pensata specificamente per le strutture sanitarie e socio-sanitarie. Anche UNEBA, organizzazione di categoria del settore sociosanitario, assistenziale, educativo, esclude il licenziamento come strumento direttamente utilizzabile.

Devo però sottolineare che allo stato non c’è una soluzione certa e soprattutto inattaccabile, che abbia cioè una tenuta definitiva nel giudizio che il lavoratore propone con il ricorso al giudice del lavoro. Sappiamo già di dipendenti che, ricevuta la notizia di una eventuale sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, non ancora la comunicazione formale, hanno dichiarato di volere rivolgersi al giudice.

Mancanza di certezza non significa che non vi sia una soluzione o comunque che una soluzione con una certa tenuta non sia praticabile.

Fatta questa brevissima premessa, anticipo lo schema che seguirò nella relazione.

Parto dall’inizio: è necessaria una breve introduzione sulle disposizioni di legge.

Passo al focus sulla figura del Medico Competente.

Arrivo alle indicazioni pratiche per la gestione di casi specifici di rifiuto.

Concludo con uno sguardo al futuro prossimo.

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