É argomento sempre più attuale, che può rivelarsi davvero vantaggioso per le aziende, comprese quelle di piccole e medie dimensioni.

Stiamo parlando di come è possibile ottenere in ambito lavorativo la certificazione della parità di genere, istituita dalla Legge n. 162/2021, che ha modificato le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 198/2006 (“Codice della pari opportunità tra uomo e donna”).

La certificazione ha il principale obiettivo di incentivare le imprese ad adottare policies e misure concrete che favoriscano l’occupazione femminile, riducendo sensibilmente il gap di genere soprattutto nelle aree più critiche: opportunità di carriera, parità salariale, politiche di gestione delle differenze di genere e tutela della maternità.

Il Dpcm del 29 aprile 2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 1° luglio, ha stabilito i parametri minimi – i cosiddetti KPI (Key Performance Indicator – indicatori chiave di prestazione) –, fissati dalla Prassi di riferimento Uni 125:2022, documento che contiene le indicazioni tecniche, i criteri e le linee guida per ottenere la certificazione.

Nello specifico sono state individuate sei aree riguardanti le diverse variabili che possono contraddistinguere un’organizzazione aziendale inclusiva e rispettosa della parità di genere: Cultura e strategia, Governance, Processi HR, Opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda, Equità remunerativa per genere, Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.

Ciascuna area ha un peso percentuale specifico nella valutazione dell’organizzazione aziendale e a ciascun indicatore è associato un punteggio. Per ottenere la certificazione l’azienda deve raggiungere uno score minimo complessivo del 60%, che una volta conseguito sarà soggetto a monitoraggio annuale e verifica biennale da parte dell’organo interno a ciò preposto, l’Alta Direzione aziendale.

Questi i benefici per le imprese, anche di piccole e medie dimensioni, che otterranno la certificazione:

  1. previo decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50 mila euro all’anno per ciascuna azienda;
  2. punteggio premiale per la valutazione di proposte progettuali per la concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti;
  3. criterio premiale nella valutazione delle procedure ad evidenza pubblica per l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere.

C’è, però, anche un altro aspetto vantaggioso da considerare: ripensare l’organizzazione aziendale, in un’ottica inclusiva e premiale, non solo migliora le performances dei dipendenti ma favorisce l’immagine dell’azienda, rendendola più attrattiva  agli occhi di è interessato a collaborare con la stessa.