Tempi duri per il dipendente che si allontana dal luogo di lavoro durante l’orario di servizio senza timbrare il badge in uscita, inducendo, quindi, il datore di lavoro a ritenerlo presente: ciò anche nel caso in cui il lavoratore dimostri di avere iniziato la prestazione prima dell’orario e, quindi, di avere reso attività per un periodo di tempo non inferiore a quello contrattualmente stabilito.

Con l’ordinanza n. 6174 dello scorso 1 marzo la Cassazione ha, infatti, confermato la sentenza della Corte d’Appello di Bari che aveva accertato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore che, in poco più di un mese, si era allontanato per tredici giorni durante l’orario di servizio per un lasso di tempo tra i quindici minuti e l’ora, omettendo la relativa timbratura, facendo così risultare la regolare presenza in servizio.

Il datore di lavoro era venuto a conoscenza del comportamento del dipendente tramite un’indagine commissionata ad un’agenzia investigativa.

La Cassazione ha, innanzitutto, confermato l’ammissibilità del ricorso all’agenzia investigativa, trattandosi di controllo non finalizzato a verificare l’adempimento in senso proprio della prestazione lavorativa, bensì diretto ad accertare comportamenti del dipendentepenalmente rilevanti o comunque fraudolenti, fonti di danno per il datore di lavoro.

La Cassazione ha, poi, escluso una lesione della privacy del lavoratore in quanto le verifiche erano state effettuate in luoghi pubblici ed avevano lo scopo di portare alla luce condotte illecite.

Circa la proporzionalità del provvedimento espulsivo, la Cassazione ha, infine, ritenuto irrilevante la tesi difensiva del lavoratore e cioè che “giungeva in ufficio almeno 15- 20 minuti prima dei colleghi, avendo le chiavi e ben prima di registrare l’orario di ingresso con il badge”.

La Cassazione ha, infatti, considerato non decisivo tale fatto, “giacché la disciplina dell’orario di lavoro è rimessa alle determinazioni datoriali e non alla libera iniziativa del dipendente”.

La Cassazione ha, quindi, ribadito il principio secondo cui il lavoratore non può autodeterminare il proprio orario di lavoro anche se, di fatto, la durata della prestazione lavorativa non è inferiore a quella contrattualmente prevista.

Circa la giusta causa di recesso ha trovato conferma la prospettazione datoriale secondo cui erano da valorizzarsi l’elemento intenzionale legato all’inadempimento dell’attività lavorativa, la sistematicità e la circostanza che la condotta fosse stata riscontrata in tutte le occasioni in cui il dipendente era stato sottoposto a controllo.