Il “falso valutativo” integra il delitto di false comunicazioni sociali
In primo piano le false comunicazioni sociali
In virtù delle modifiche introdotte con Legge 27 maggio 2015 n. 69, l’attuale art. 2621 cod. civ. punisce gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili, i sindaci e i liquidatori che, per conseguire un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, espongono consapevolmente fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle predette comunicazioni.
Rispetto al previgente testo normativo, quello attuale non contiene alcun riferimento ai fatti materiali oggetto di valutazioni. Il ritocco legislativo ha fatto sì che alcuni giudici accogliessero la tesi della non punibilità del falso valutativo, ossia quello relativo alle valutazioni estimative di alcune poste di bilancio (quali, ad esempio, il valore degli immobili o il presumibile valore di realizzo dei crediti). Questa tesi, però, non è stata condivisa dalla Corte di Cassazione che si è pronunciata sul punto con la sentenza n. 890, depositata lo scorso 12 gennaio 2016.
IL CASO
La vicenda esaminata dalla Suprema Corte ha visto coinvolto l’Amministratore Unico di una S.r.l. che, nei bilanci relativi agli esercizi dal 2002 al 2005, esponeva una enorme massa di crediti scaduti o in sofferenza celandone l’inesigibilità, o comunque il rischio di mancata riscossione. In altri termini, a fronte dell’incontestabile inesigibilità di una notevole quantità di crediti, il bilancio indicava un improbabile valore di realizzo e non esponeva alcuna svalutazione né regolare appostazione nel fondo svalutazione crediti.
A parere dei giudici di merito, tale condotta integrava una artificiosa rappresentazione, con mendace esposizione ex art. 2621 cod. civ., di fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società.
LA DECISIONE
Con la sentenza in commento, la Suprema Corte fornisce una rigorosa interpretazione del nuovo reato di false comunicazioni sociali, affermando che la rimozione del riferimento alle valutazioni non può, di per sé, escludere la rilevanza penale del falso valutativo: anche le valutazioni delle poste di bilancio sono idonee ad assolvere ad una funzione informativa e possono, quindi, dirsi vere o false quando contraddicano «parametri normativamente determinati o tecnicamente indiscussi» ovvero quando non si uniformino a «criteri valutativi positivamente determinati dalla disciplina civilistica (tra cui il nuovo articolo 2626 c.c.), dalle direttive e regolamenti di diritto comunitario (da ultimo, la direttiva 2013/34/UE e gli standards internazionali IAS/IFRS) o da prassi contabili generalmente accettate (es. principi contabili nazionali elaborati dall’Organismo Italiano di Contabilità)».
LE CONCLUSIONI
Secondo la Suprema Corte, l’ambito della punibilità dei falsi materiali contenuti nelle comunicazioni sociali rimane del tutto impregiudicata, continuando a ricomprendere i fatti oggetto di mera valutazione, esattamente come accadeva prima dell’entrata in vigore della Legge n. 69/2015.
La questione non è di poca rilevanza. Il delitto di false comunicazioni sociali, infatti, oltre a poter essere contestato agli amministratori e agli altri soggetti espressamente elencati nell’art. 2621 cod. civ., rientra nel catalogo dei reati presupposto idonei a fondare la responsabilità della società secondo la disciplina contenuta nel D. Lgs. n. 231/2001.
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