E’ legittimo il licenziamento per giusta causa intimato al dipendente sorpreso, durante il periodo di assenza dal lavoro per infortunio o malattia, a svolgere altra attività lavorativa?

Con la sentenza n. 3630 del 10 febbraio 2017 la Corte di Cassazione ha risposto positivamente.

I giudici di legittimità hanno, infatti, confermato la decisione della Corte d’Appello di Genova che aveva ritenuto valida la risoluzione del rapporto di lavoro disposta nei confronti di un dipendente che, di fatto guarito prima della scadenza della prognosi indicata nel certificato di infortunio, era stato scoperto – tramite agenzia investigativa – a lavorare nella rosticceria della moglie.

I giudici hanno, innanzitutto, ribadito che è ammesso il ricorso del datore di lavoro ad agenzie investigative “non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione”: ciò a condizione che tale intervento non sconfini nella vigilanza dell’attività lavorativa in senso proprio.

I giudici hanno, poi e nel merito, dato importanza fondamentale al fatto che il lavoratore, secondo la perizia d’ufficio medica espletata in primo grado, era completamente guarito nei giorni in cui aveva operato presso la rosticceria del coniuge e, quindi, in grado di riprendere il proprio lavoro.

Se è vero che l’attività resa presso la rosticceria non aveva in alcun modo compromesso o ritardato la guarigione del lavoratore posto che il medesimo si era già ristabilito -e che, pertanto, sotto tale aspetto nulla gli si poteva validamente imputare-, è altrettanto vero che nelle giornate in cui ha operato presso la rosticceria il dipendente doveva, però e diligentemente, tornare in servizio.

Secondo la Corte di Cassazione la sanzione del licenziamento per giusta causa è, infatti, da ritenersi adeguata in quanto la condotta tenuta del dipendente “era comportamento grave incidente sul dovere fondamentale del dipendente di rendere la prestazione di lavoro e lesiva del vincolo fiduciario, anche in ragione del carattere doloso, desumibile anche dalla prima negazione dei fatti”.