La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43689 depositata lo scorso 29 ottobre, ha chiarito che quando l’autore del reato agisce nell’esclusivo interesse proprio o di terzi, ma la società ne trae comunque un vantaggio c.d. “fortuito”, in quanto non attribuibile alla sua volontà, quest’ultima non può essere chiamata a rispondere dell’illecito amministrativo dipendente da reato ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001.

Invero, la responsabilità di cui al D. Lgs. n. 231/2001 trova la propria ratio nel principio di immedesimazione organica tra l’autore del reato e la persona giuridica nell’ambito della quale il primo opera: ogniqualvolta l’autore del reato agisce nell’interesse della società, ancorché concorrente con un interesse proprio o di terzi, sussiste tale rapporto di immedesimazione ed è quindi possibile imputare all’ente la responsabilità per il fatto illecito commesso dalla persona fisica. Di contro, la società va esente da responsabilità quando l’autore del reato agisce nell’esclusivo interesse proprio o di terzi (art. 5, D. Lgs. n. 231/2001).

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IL CASO

Il caso deciso dalla Suprema Corte ha visto coinvolta una società sportiva quotata in borsa per l’illecito di false comunicazioni sociali di cui all’art. 25-ter del D. Lgs. n. 231/2001, avente ad oggetto operazioni incrociate di compravendita di ventidue giocatori. Nonostante l’assoluzione dell’amministratore delegato dal reato contestatogli, il processo a carico dell’ente seguiva il suo corso e, in primo grado, i giudici rilevavano come il reato fosse finalizzato ad una sopravvalutazione dei giocatori per ottenere un riflesso aumento di valore delle azioni della società.

Con una prima pronuncia, la Cassazione evidenziava la necessità di un chiarimento in ordine all’effettiva ricorrenza e consistenza dell’interesse della società alla commissione del reato. La vicenda tornava quindi in Corte di Appello che, a questo proposito, rilevava come le false comunicazioni sociali avessero la finalità di far conseguire all’ente un indebito risparmio fiscale.

Adita nuovamente la Corte di Cassazione, quest’ultima ribadisce come l’illecito amministrativo dipendente da reato costituisca pur sempre un fatto proprio dell’ente, che in quanto tale deve essere riconducibile alla sua volontà. Dunque, ancorché l’ente consegua un vantaggio dalla condotta illecita posta in essere dalla persona fisica, la sua responsabilità deve essere esclusa se risulta che il reo ha agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi. Di qui l’espressione vantaggio “fortuito”.

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CONSIDERAZIONI

Con la sentenza in commento la Suprema Corte annulla la decisione di merito, rilevando la «reiterata totale carenza illustrativa dei presupposti per ritenere che la falsità sia stata effettivamente finalizzata alla sottrazione di utili alla pretesa tributaria».

In conclusione, semmai vi sia stato un effettivo vantaggio fiscale, i giudici di merito non hanno chiarito se si sia trattato di un vantaggio “fortuito” oppure di un vantaggio intenzionalmente procurato alla società.

In altri termini, l’illecita falsificazione di alcune voci del bilancio di esercizio, ancorché produttiva di un risparmio di imposta, non può di per sé fondare la responsabilità dell’ente, se non si abbia prima accertato che il reo non ha agito nell’esclusivo interesse proprio o di terzi.