In questa puntata de “Il filo dell’IP” vedremo come l’utilizzo della blockchain nel settore tessile e moda possa offrire vantaggi non solo competitivi ma anche di protezione e valorizzazione dei propri diritti di proprietà intellettuale.

La normativa è ancora in fase embrionale ma le poche norme già esistenti mostrano la potenzialità di questa tecnologia.

Premessa: esistono diverse tipologie di blockchain che si differenziano in base all’architettura e, quindi, al funzionamento. Qui facciamo riferimento a quelle permissionless e pubbliche in cui le operazioni richiedono autorizzazioni ma chiunque può leggere le transazioni.

Vediamo allora cinque casi concreti:

  1. documenti relativi a particolari procedimenti di produzione di un filato o di un tessuto qualificabili come segreto commerciale;
  2. bozzetti di tessuti o capi di abbigliamento che, come abbiamo visto nelle puntate precedenti, potranno essere oggetto di protezione come disegni e modelli o come opere tutelate dal diritto d’autore;
  3. prove di utilizzo di un particolare filato o di una particolare lavorazione che si intendono brevettare oppure di un marchio registrato o non;
  4. contratti e documenti relativi alla filiera produttiva di un capo di abbigliamento “made in Italy”;
  5. prove dell’originalità e dell’unicità di un paio di scarpe.

Ebbene in tutte queste situazioni la registrazione di file su blockchain può dimostrarsi molto utile poiché permette:

casi 1, 2 e 3: di precostituirsi le prove di esistenza in un determinato momento del documento e di chi ne è il titolare;

caso 4: di tracciare la filiera produttiva accrescendo la trasparenza e la fiducia dei consumatori;

caso 5: di prevenire la contraffazione del proprio prodotto.

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Come può avvenire tutto ciò? Le applicazioni della tecnologia blockchain che vengono in rilievo sono due:

  • la notarizzazione e
  • la tokenizzazione.

Con la notarizzazione, i file che vengono registrati su blockchain acquisiscono la marcatura temporale, ottenendo così la data certa e la prova che quel documento esiste, è stato creato da quella determinata persona e non è più modificabile.

Attenzione: la segretezza e la riservatezza non vengono pregiudicate perché il vostro documento non viene caricato sulla blockchain, ma il software genera un’impronta unica e irreversibile di quel file (cd. hash) che è poi registrata su uno dei blocchi della blockchain e non consente di risalire al documento, fatta eccezione per chi lo possiede che può aprirlo.

Inoltre, l’hash assicura che il file una volta registrato su blockchain non possa più essere modificato: un successivo caricamento (transazione) avrebbe infatti un hash diverso.

Quindi, registrare in blockchain un file come, ad esempio, un bozzetto con le specifiche di un determinato tessuto, di un modello di capo di abbigliamento, fotografie o screenshot di pagine web che mostrano l’utilizzo di un marchio, permette quindi di precostituirsi la prova certa dei propri diritti dato che la blockchain attesta:

  • la certezza della data;
  • la certezza del soggetto che carica il documento;
  • l’immutabilità del documento.

Certo, la questione della validità come prova in giudizio non è ancora pienamente disciplinata a livello normativo, tuttavia, ad oggi, il giudice investito della controversia può comunque valutare se accogliere come prova il documento informatico notarizzato su blockchain, eventualmente previa valutazione di un consulente tecnico.

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La tokenizzazione è invece la rappresentazione su blockchain di un bene o di un diritto attraverso la sua incorporazione in un asset digitale, il token.

In altre parole, un token può rappresentare un bene creato in formato digitale (come ad esempio i capi di abbigliamento da utilizzare nelle piattaforme di gaming o di realtà aumentate) oppure, ed è forse questa l’applicazione più interessante, beni fisici.

Pensiamo ai prodotti delle collezioni future: con questa applicazione è possibile rappresentarli con un token ancora prima di metterli in produzione, in questo modo gli acquirenti interessati comprano il token e l’azienda sa quanto produrre, evitando rimanenze di magazzino.

Ad ogni singolo esemplare è associato un token non fungibile (NFT), ossia un gemello digitale del prodotto fisico (che contiene la descrizione del prodotto, la data e il luogo di produzione, il numero di serie, i materiali, ecc.) e viene assegnata un’etichetta elettronica (RFID): in questo modo il cliente finale potrà anche verificare con assoluta certezza se il prodotto è autentico.

Inoltre, volendo, l’azienda può decidere che anche tutti i propri fornitori carichino gli hash relativi ai documenti che li riguardano (bolle di trasporto, certificazioni, composizioni dei materiali…) ottenendo così il tracciamento della filiera dalla materia prima al prodotto finito.