Il contratto di lavoro intermittente stipulato tra datore di lavoro e lavoratore è pienamente legittimo anche in presenza di un espresso divieto nel CCNL applicato: questo l’innovativo principio sancito dalla Corte di Cassazione con la recente pronuncia n. 29423/2019.

Ma che cos’è il contratto di lavoro intermittente?

La definizione la fornisce l’art. 13 del D.Lgs. 81/2015: è il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o, appunto, intermittente.

Tale tipologia di lavoro flessibile (nota anche come lavoro a chiamata o “job on call”) è molto utile in caso di necessità di sostituzione di un lavoratore assente e/o quando si hanno picchi di lavoro in azienda (tipico ad esempio per i ristoranti nel week-end).

La vicenda trae origine dalla domanda di un dipendente volta ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità del contratto di lavoro intermittente stipulato con l’azienda e la conversione dello stesso in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

A supporto della propria richiesta, il lavoratore aveva sostenuto che, all’interno del contratto collettivo vigente ai tempi della sottoscrizione del rapporto di lavoro intermittente, le parti sociali avevano convenuto la non applicabilità di tale istituto.

Secondo i giudici di legittimità, tuttavia, l’art. 34, comma 1, del D.Lgs. 276/2003 – oggi collocato nel citato articolo 13 del D.Lgs. 81/2015 – si limita a demandare alla contrattazione collettiva la sola individuazione dei casi in cui è consentita la stipula di un contratto di lavoro intermittente, senza riconoscere alle parti sociali alcun potere di veto.

Con tale pronuncia la Corte di Cassazione ha dato una interpretazione difforme a quanto affermato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con il parere n. 18194 del 4 ottobre 2016.

Il Ministero, infatti, aveva espressamente confermato la possibilità per le parti sociali, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, di poter legittimamente escludere l’utilizzabilità, nel settore regolato, del contratto di lavoro intermittente. All’interno della nota n. 18194 il Dicastero si era spinto oltre, arrivando ad affermare che: “la violazione delle clausole contrattuali che escludono il ricorso al lavoro intermittente determina … una carenza in ordine alle condizioni legittimanti l’utilizzo di tale forma contrattuale e la conseguente applicazione della sanzione della conversione in rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato”.

La Suprema Corte, al contrario, con la pronuncia n. 29423, ha sottolineato come le parti collettive non possono impedire tout court l’utilizzo del lavoro intermittente, sia perché la legge prevede che in caso di inerzia delle parti sociali i casi di utilizzo sono individuati con decreto, sia perché manca nella legge un espresso rinvio al potere di veto delle parti sociali.

Alla luce del nuovo principio dettato dalla Corte di Cassazione, pertanto, occorre nel caso concreto verificare le disposizioni previste dal singolo CCNL, tenendo presente che, anche in caso di divieto espresso, il contratto di lavoro a chiamata sottoscritto tra datore di lavoro e lavoratore è comunque valido ed efficace.