sentenza n. 86 del 23 aprile 2018

Consideriamo il caso in cui il lavoratore licenziato “vince la causa”: il Giudice condanna l’azienda a reintegrarlo nel posto di lavoro in applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori come riformato dalla Legge Fornero.

La condanna è immediatamente esecutiva.

Tuttavia, l’azienda si rifiuta di riammettere in servizio l’ex dipendente ed impugna il provvedimento che l’ha condannata.

Pur non reintegrando il lavoratore nel posto di lavoro, nel periodo tra il licenziamento e la decisione del “secondo” Giudice l’azienda è tenuta a corrispondere al lavoratore un’indennità che la legge -il comma 4 dell’art. 18- espressamente commisura “all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione” (il legislatore usa questi termini perché contempla il caso in cui l’azienda adempia all’ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro).

Accade che il “secondo” Giudice riformi la decisione del “primo” Giudice di condanna alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 86 del 23 aprile, ha confermato che, nel caso di riforma della “prima” decisione, il lavoratore, a questo punto legittimamente licenziato, è tenuto a restituire l’indennità che ha ricevuto.

Questo perché l’indennità in questione ha natura risarcitoria e non retributiva: secondo la Corte, l’indennità è correlata ad una condotta illecita del datore di lavoro, che non ha ottemperato all’ordine del “primo” Giudice di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, e non ad una prestazione di attività lavorativa da parte del dipendente. Non rileva in ogni caso il fatto che l’indennità sia dalla legge commisurata all’“ultima retribuzione globale di fatto”.

Peraltro, la Corte precisa che l’azienda, che “scommettendo” sulla riforma della decisione del “primo” Giudice, non ha adempiuto all’ordine di reintegrazione, può andare incontro al una richiesta risarcitoria secondo i principi generali delle obbligazioni: il lavoratore può agire per il danno conseguente al mancato reinserimento nell’organizzazione del lavoro nel periodo tra la decisione del “primo” Giudice, che ha annullato il licenziamento, e quella di riforma del “secondo” Giudice, a condizione che abbia messo in mora l’azienda.

Sintetizzando, a fronte della riforma da parte del “secondo” Giudice della decisione di condanna dell’azienda a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro:

A) l’azienda che ha reintegrato il lavoratore nel posto lavoro, non ha diritto alla restituzione dell’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento, dal momento che ha ottenuto una controprestazione lavorativa;

B) l’azienda che non ha adempiuto all’ordine di reintegrazione, ha diritto alla restituzione della stessa indennità, visto che risulta accertato che non ha agito illecitamente, ma può essere chiamata dal lavoratore a risarcire un diverso danno, che è quello derivante dalla mora ai sensi del comma 2 dell’art. 1207 del codice civile, ovviamente secondo le regole generali anche in ordine alla prova.

La Corte conclude affermando proprio che non si può parlare di disparità di trattamento nei casi A) e B).

 

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