Cos’è un’organizzazione di tendenza (ODT)?

La definizione la fornisce l’art. 4 della legge n.108/1990: datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto.

Più in generale, è qualificabile come organizzazione di tendenza qualunque attività prevalentemente ideologica purché svolta in assenza di uno scopo di lucro e di una organizzazione imprenditoriale (Cassazione n. 797/2014).

Punto determinante è, quindi, che il datore di lavoro non abbia la caratteristica dell’impresa.

E’ da qualificarsi come impresa l’organizzazione che non persegue statutariamente un fine ideologicamente orientato ed è dotata di una compiuta autonomia gestionale e contabile nonché di una effettiva autonomia finanziaria.

La Cassazione, con la pronuncia n.16031/2018, ribadendo un principio già espresso con la sentenza n. 16349/17, ha affermato che non è organizzazione di tendenza l’associazione che, per statuto, non persegue un fine ideologicamente orientato di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto e che, invero, opera con criteri di economicità, ossia non semplicemente rivolti al perseguimento dei fini sociali dell’ente, ma finalizzati al tendenziale pareggio tra costi e ricavi, restando, a tal fine, irrilevante la distribuzione di utili.

Qual è la disciplina in caso di licenziamento illegittimo da parte di una ODT?

Fino al D.Lgs. n. 23/2015 (Jobs Act), in caso di licenziamento illegittimo intimato da un’ organizzazione di tendenza, il lavoratore beneficiava indubitabilmente della tutela obbligatoria, a prescindere dalla soglia occupazionale dell’organizzazione.

L’art.4, comma 1, L. n.108/90 esclude(va), infatti, la tutela di cui all’art.18 dello Statuto dei Lavoratori (quindi, non vi era spazio per la reintegrazione), fatta eccezione per il caso di licenziamento nullo (ad esempio, perché discriminatorio).

Dunque, il datore di lavoro-organizzazione di tendenza che aveva disposto un licenziamento illegittimo poteva essere condannato, a sua scelta, alla riassunzione del lavoratore o alla corresponsione in favore del medesimo di una indennità risarcitoria compresa tra le 2, 5 e le 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita.

Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015, il contesto normativo è però mutato e, sussistono opinioni difformi sull’impatto che tale normativa ha avuto rispetto alle organizzazioni di tendenza.

La diversità di vedute deriva dalla disposizione contenuta all’art. 9 (“Piccole imprese e organizzazioni di tendenza”), comma 2 del decreto, secondo la quale ai datori di lavoro non imprenditori, che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, si applica la disciplina di cui al presente decreto.

La lettura della norma pare deporre a favore dell’applicazione della disciplina di cui al D.Lgs n. 23/2015, a prescindere dalla data di assunzione del lavoratore.

Sappiamo, infatti, che le disposizioni contenute nel decreto in questione si applicano ai dipendenti assunti dopo il 7 marzo 2015 nonché nei casi di conversione, dopo tale data, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato (i cd “nuovi” assunti).

Vi è anche da notare che l’art.4 L. n.108/1990 non si pone in contrasto con l’art.9, comma 2 citato, visto e considerato che con tale norma si esclude l’applicazione della disciplina di cui all’art.18 dello Statuto dei Lavoratori.

Aderendo a tale impostazione, quindi, in ipotesi di licenziamento illegittimo per manifesta insussistenza del fatto materiale, qualsiasi dipendente di un’organizzazione di tendenza avrebbe diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro (tutela che, in precedenza, era alla radice esclusa attesa la non applicabilità dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori) oltre ad un’indennità risarcitoria.

La dottrina è, però, ad oggi orientata nel senso di ritenere che per i lavoratori assunti prima del 07 marzo 2015 continui ad applicarsi la tutela obbligatoria, con esclusione, quindi, di qualsiasi possibilità di reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo.

Tale interpretazione si basa non solo sull’art.1 del D.Lgs. n.23/2015 che fissa il campo di applicazione ai “nuovi” assunti, ma anche sulla considerazione che, all’origine del provvedimento normativo, vi è la legge delega n. 183/2014, secondo la quale le “nuove norme” hanno efficacia esclusivamente ai rapporti di lavoro instauratisi successivamente all’emanazione del decreto attuativo.

Se così fosse, solamente un “nuovo” assunto, illegittimamente licenziato da un’ organizzazione di tendenza, potrebbe beneficiare della tutela di cui al D.Lgs. n.23/2015.

Lo scenario è tutt’altro che definito e la giurisprudenza è chiamata a dare una risposta: quindi… stay tuned!