Sono passati più di due anni dalla pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione (n. 1545 del 20.01.2017), che ha escluso definitivamente che il rapporto che lega l’amministratore unico e/o i consiglieri di amministrazione ad una società di capitali (definito ‘societario’) costituisca un rapporto di lavoro parasubordinato (cfr. Le Sezioni  Unite delineano il c.d. “rapporto di società”).

Da allora è pacifico che le funzioni tipiche di gestione e rappresentanza della società svolte in forza di una carica sociale – qualunque essa sia – non sono idonee a configurare un rapporto di lavoro, parasubordinato né tantomeno subordinato.

Ma cosa succede se il presidente del consiglio di amministrazione, un consigliere, un amministratore svolgono per la società attività ulteriori e diverse da quelle di gestione e rappresentanza? E’ configurabile un rapporto di lavoro subordinato, compatibile con la carica?

La questione continua ad essere di stretta attualità, tant’è che anche l’INPS se ne è occupato con il recente messaggio n. 3359 del 17.09.2019.

L’Istituto ripercorre i propri precedenti sul tema, ricordando la circolare n. 179 del 08.08.1989, con cui escludeva qualsivoglia rapporto di lavoro subordinato in capo a presidenti, amministratori unici e consiglieri delegati di società di capitali, per giungere ad ammettere di avere rivisto il proprio orientamento sulla base dei principi espressi dalla Cassazione, che negli anni si è pronunciata a favore dell’ammissibilità in astratto della subordinazione.

In sintesi, anche secondo l’INPS sussiste un rapporto di lavoro subordinato solamente se contestualmente:

il potere decisionale (‘potere deliberativo diretto a formare la volontà della società’) è in capo ad un organo, collegiale o non, diverso dal soggetto di cui si tratta, -il soggetto svolge attività estranee alla gestione e rappresentanza della società, che pure svolge, -nello svolgere le attività in questione il soggetto è sottoposto al potere direttivo e gerarchico del consiglio di amministrazione o comunque di un superiore, non necessariamente membro del cda.

Come conclude l’INPS?

Innanzitutto, le cariche di amministratore unico e di socio unico sono certamente incompatibili con lo status di lavoratore subordinato.

La subordinazione non è, invece, astrattamente incompatibile con la carica di presidente del consiglio di amministrazione.

Peraltro, è nel caso degli amministratori e dei soci amministratori che la questione assume rilevanza concreta.

Qui il discrimine è dato dalla portata della delega conferita dal consiglio di amministrazione: se è generale e dà facoltà di agire senza il consenso del consiglio di amministrazione, la carica è incompatibile con un rapporto di lavoro subordinato.

È chiaro, quindi, che il conferimento della delega costituisce un passaggio fondamentale, da fare con particolare attenzione, perché dalla sua portata dipende la compatibilità o meno della carica con il rapporto di lavoro subordinato.

E dalla sussistenza della subordinazione discendono non solo l’obbligo contributivo in capo alla società, ma anche i diritti assicurativi e previdenziali per il lavoratore.

In presenza di una delega di portata limitata l’INPS potrebbe contestare alla società che il rapporto non qualificato come subordinato debba essere regolarizzato sotto l’aspetto contributivo.

Al contrario l’INPS potrebbe negare prestazioni a titolari di cariche, ritenendoli erroneamente inquadrati come lavoratori subordinati in presenza di delega di portata generale.

È evidente la necessità di una valutazione in concreto, caso per caso.