A commento dell’ordinanza (non sentenza) emessa dalla Sezione Lavoro del Tribunale di Belluno il 19 marzo scorso, giornalisti in cerca di scoop hanno scritto su carta e nel web di un presunto obbligo di vaccinarsi per il personale operante nelle RSA e di un’asserita legittimità della sospensione immediata dal lavoro e dalla retribuzione del dipendente che rifiuta il vaccino.

Nulla di vero.

Il Giudice del Lavoro di Belluno ha affermato altri e diversi importanti principi, dei quali il primo in particolare deve essere tenuto in attenta considerazione nelle RSA e in generale nelle strutture sanitarie.

Il primo principio: gli addetti a mansioni che implicano un contatto diretto personale (con degenti e ospiti), i quali rifiutano di vaccinarsi, corrono il rischio di essere contagiati.

Pertanto, il datore di lavoro, che è obbligato a ‘fare tutto il possibile’ a tutela della salute e sicurezza dei propri dipendenti (art. 2087 c.c.), ha il dovere di tutelare anche e proprio i soggetti che rifiutano di essere vaccinati.

Il secondo principio: la tutela del lavoratore renitente al vaccino può essere legittimamente attuata con la collocazione in ferie ‘forzata’, vale a dire per autonoma disposizione del datore di lavoro, nel periodo immediatamente successivo al rifiuto di sottoporsi al vaccino.

È evidente che si tratta di una soluzione del tutto temporanea: una volta esaurite le ferie maturate cosa accade?

A mio parere ad una gestione articolata e maggiormente definitiva della posizione dei dipendenti renitenti al vaccino nelle strutture sanitarie e sociosanitarie si può giungere solamente attraverso le procedure che ho già avuto modo di descrivere nel mio precedente intervento, cui rimando QUI.