Limiti di legge, prassi giurisprudenziale e libertà contrattuale dei soci pattisti

COS’E’ IL PATTO PARASOCIALE E PERCHE’ VIENE STIPULATO?

Si definisce patto parasociale il contratto che intercorre fra più soggetti (di norma due o più soci, ma anche tra soci e terzi), finalizzato a regolamentare il comportamento futuro che dovrà essere osservato durante la vita della società o, comunque, in occasione dell’esercizio di taluni diritti derivanti dalle partecipazioni detenute.

Il patto parasociale trova il proprio elemento qualificante nella distinzione rispetto al contratto di società, in quanto trattasi di convenzione con cui i soci attuano un regolamento in parte difforme o complementare a quello sancito nell’atto costitutivo o nello statuto della società, al fine di tutelare più proficuamente i propri interessi.

In Italia, il fenomeno dei patti parasociali può dirsi ormai capillare, dal momento che anche le realtà societarie di più piccole dimensioni ne sfruttano l’utilità, predisponendone i contenuti più vari. Come si vedrà nel prosieguo, un limite generale alla conclusione di tali accordi è dato dalle norme imperative, ossia quelle norme che esprimono i principi generali dell’ordinamento e che sono volte a tutelare interessi di carattere generale.

I patti parasociali

TIPOLOGIE DI PATTI PARASOCIALI E REGOLE DI VALIDITA’

Nella prassi societaria si riscontra una varietà tale di patti parasociali che la seguente elencazione non può considerarsi esaustiva.

Di seguito, si analizzano le principali tipologie di accordi, evidenziandone eventuali profili di invalidità connessi alla violazione di norme imperative.

Sindacato di voto: è il patto che si attua mediante l’esercizio del diritto di voto in assemblea secondo quanto stabilito dalla maggioranza dei soci che aderiscono al patto, oppure secondo quanto deciso da un organo interno al patto o, ancora, mediante il rilascio di una delega ad un rappresentante comune (c.d. direttore del sindacato) che esprimerà il voto secondo le istruzioni impartite dagli stessi soci pattisti. Obiettivo primario di tale tipologia di patto è dotare di stabilità il governo della società.

I sindacati di voto, al pari degli altri patti parasociali, non possono violare i principi generali di buon funzionamento della società e di tutela degli interessi dei creditori; a questo proposito, è ritenuto invalido: il patto che obbliga gli aderenti a non votare l’azione di responsabilità contro gli amministratori che abbiano cagionato un danno alla società (Cass. 28.04.2010, n. 10215); il patto che sottrae all’assemblea il potere di revocare gli amministratori; il patto tra soci ed amministratori finalizzato a liquidare il patrimonio sociale a prezzi nettamente inferiori a quelli di mercato in favore dei contraenti o di terzi etc.

Parzialmente diversi dai sindacati di voto sono i c.d. patti di consultazione, ossia quegli accordi con i quali i soci si impegnano semplicemente a discutere insieme le materie oggetto di voto nella successiva assemblea, senza imporne le modalità di esercizio.

Sindacato di blocco: è il patto che impone limiti e vincoli al libero trasferimento di azioni o quote. Scopo principale di questo sindacato è dotare di stabilità l’assetto proprietario, impedendo che alcuni azionisti possano uscire dalla società o che estranei vi possano entrare in qualità di soci; in altri casi, scopo del sindacato di blocco è anche quello di ottimizzare il valore della partecipazione compravenduta. In questa categoria di patti parasociali rientrano:

      • Patto di non alienazione: si tratta di un accordo che sancisce il divieto di alienare la partecipazione per un tempo determinato. Tale patto, se «contenuto entro convenienti limiti di tempo» e se «risponde a un apprezzabile interesse di una delle parti», può stimarsi valido (art. 1379 cod. civ.). Con riguardo al limite temporale, una indicazione di massima è contenuta nell’art. 2341-bis cod. civ. che, con riguardo alle S.p.A. e alle società che le controllano, ne fissa la durata nel termine di 5 anni.
      • Patto di prelazione e patto di gradimento: con il patto di prelazione si stabilisce che, in caso di vendita della partecipazione sociale, ciascun socio è obbligato ad offrirla agli altri, prima di alienarla a terzi, alle medesime condizioni contrattuali. Con il patto di gradimento, invece, ciascun socio è obbligato a chiedere ed ottenere il gradimento (un’autorizzazione), da parte del soggetto investito di tale potere, per la cessione della propria partecipazione a terzi.
      • Patto tag-along (c.d. di seguito): tale accordo è finalizzato alla tutela del socio di minoranza, al quale viene attribuito il diritto di vendere le azioni insieme al socio di maggioranza, qualora quest’ultimo decida di cedere le proprie, profittando delle medesime condizioni contrattuali concordate con il terzo acquirente e, comunque, ad un prezzo non inferiore ad un certo valore. Scopo di questa clausola – molto diffusa nella prassi – è impedire che il socio di minoranza rimanga intrappolato nella società dalla quale il socio di riferimento decide di uscire, garantendosi un prezzo di vendita più vantaggioso di quello che potrebbe spuntare in caso di contrattazione diretta ed individuale con il terzo acquirente.
      • Patto drag-along (c.d. di trascinamento) → tale accordo è finalizzato alla tutela del socio di maggioranza che, qualora decida di cedere le proprie azioni, ha il diritto di vendere anche la partecipazione posseduta dal socio di minoranza alle medesime condizioni contrattuali a lui riservate e, comunque, ad un prezzo non inferiore ad un determinato valore. L’utilità di questa clausola emerge, soprattutto, quando è formulata una proposta di acquisto della totalità delle partecipazioni societarie e vi è il rischio che il socio di minoranza metta in atto comportamenti ostruzionistici.

Sindacato di controllo: è il patto stipulato fra alcuni soci che si accordano su come esercitare la loro influenza dominante nella società, al fine di condizionarne le scelte economiche e gestionali.

Patto relativo al finanziamento della società: è l’accordo con il quale alcuni soci si impegnano, a fronte di documentate esigenze di finanziamento, ad offrire un prestito alla società fino a concorrenza di un multiplo prestabilito della partecipazione posseduta da ciascun socio.

Patto modificativo del regime di responsabilità di alcuni soci: si tratta di accordi mediante i quali alcuni soci si impegnano a rispondere in misura illimitata (o limitata) per le obbligazioni presenti e future della società. Posto che il regime di responsabilità nei confronti dei terzi è inderogabile, i patti che limitano o esonerano dalla responsabilità illimitata o dalla solidarietà uno o più soci sono efficaci nei soli rapporti interni e non possono essere opposti ai creditori sociali che mantengono fermo il diritto di escutere il patrimonio di ciascun socio (si pensi, ad esempio, all’accordo in cui i soci di una S.n.c. limitano la responsabilità di alcuni di essi al valore della partecipazione che detengono; qualora obbligati dai creditori a pagare una somma che eccede la loro partecipazione, avranno il diritto di regresso nei confronti degli altri soci per ottenere il rimborso della differenza).

Patto relativo agli utili e alle perdite: è l’accordo con cui si prevedono criteri di ripartizione degli utili e/o delle perdite differenti da quelli stabiliti nell’atto costitutivo o nello statuto della società. La validità di simili accordi è sancita nello stesso Codice Civile, che ammette l’attribuzione di partecipazioni in misura non proporzionale ai conferimenti eseguiti dai soci (artt. 2346 e 2468 cod. civ.).

Mediante la stipulazione dei patti di garanzia degli utili, si garantisce la distribuzione di un utile minimo ad uno o più soci. Questa peculiare tipologia di accordi incontra un importante limite nella norma imperativa che sancisce il divieto di c.d. patto leonino; è infatti l’art. 2265 cod. civ. a sancire la nullità del «patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite».

Alla luce di tale divieto, la giurisprudenza ha dichiarato nullo il patto che prevede l’assegnazione di una quota mensile forfetaria di utili ai soci di minoranza, con esclusione della loro partecipazione alle perdite (Tribunale di Trani, 20.04.2010). Del pari, è stata giudicata invalida la convenzione che esclude in maniera assoluta e costante un socio dalla ripartizione degli utili.

La violazione del divieto di patto leonino è stata contestata soprattutto con riguardo ai patti che attribuiscono il diritto di vendere, ad un prezzo fisso, la partecipazione in precedenza acquistata (c.d. opzione put): in proposito, è interessante richiamare una sentenza che ha sancito la nullità del patto che prevedeva il diritto del socio di cedere le azioni precedentemente acquistate, ad un prezzo corrispondente a quello pagato in origine per l’acquisto; un simile accordo, infatti, avrebbe prodotto l’effetto di escludere il socio dalla condivisione delle perdite realizzate durante il periodo in cui ha posseduto la partecipazione (Tribunale di Milano, 30.12.2011).

I patti parasociali

FORMA E DURATA DEI PATTI PARASOCIALI

In virtù del principio generale di libertà di forma, i patti parasociali possono essere stipulati sia per iscritto, sia verbalmente. Nella prassi è certamente più frequente la loro formalizzazione mediante semplice scrittura privata che, per ragioni di costi e riservatezza, raramente viene autenticata.
Il patto parasociale, in genere, è stipulato in un unico originale depositato presso un terzo scelto dalle parti (ad esempio, un legale), incaricato di rilasciarne copia su richiesta di ciascuna di esse.

Quanto ai limiti di durata dei patti parasociali, relativamente alle S.p.A. non quotate in mercati regolamentati, occorre richiamare l’art. 2341-bis cod. civ., laddove si prevede che non possano avere una durata superiore a 5 anni quei patti che «al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società:
a) hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano (sindacati di voto);
b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano (sindacati di blocco);
c) hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società (sindacati di controllo)».
Tali accordi parasociali, ancorché pattuiti per un tempo superiore ai 5 anni, si intendono stipulati comunque per questa durata, fatta salva la possibilità di rinnovo alla scadenza. Laddove, invece, non sia stabilito alcun termine di durata, ciascun aderente può recedervi dando un preavviso di 180 giorni (art. 2341-bis, comma 2).

Fatte salve le regole sancite all’art. 2341-bis per le tipologie di patti espressamente indicati, per tutti gli altri accordi non esistono limitazione normative di durata.
Ciò detto, pare comunque opportuno che l’accordo stabilisca un termine di durata, eventualmente accompagnato dalla facoltà di rinnovo alla scadenza. Nei patti in cui esiste un termine di durata (patti a tempo determinato) è consigliabile prevedere anche un diritto di recesso anticipato, il cui esercizio è correlato alla sussistenza di determinate situazioni oggettive. Nei patti in cui, invece, non esiste un termine di durata (patti a tempo indeterminato), è opportuno prevedere il diritto di recesso del socio pattista, anche non motivato, purché accompagnato da congruo preavviso.

Detto ciò in ordine alle S.p.A. non quotate, si deve notare che per quanto concerne i patti parasociali siglati nell’ambito di S.r.l. o di società di persone non sussistono limiti di durata.
Tale affermazione, tuttavia, deve tener conto del fatto che il nostro ordinamento vede con diffidenza gli accordi che stabiliscono vincoli perpetui, ossia di durata illimitata: ancorché manchi una previsione normativa puntuale sulla durata dei patti parasociali nelle S.r.l. e nelle società di persone, è bene che la durata sia ritenuta congrua rispetto al tempo necessario a realizzare gli interessi che i soci pattisti si sono prefissati.
A questo proposito, basti ricordare il principio sancito nell’art. 1379 cod. civ. laddove si prevede che «Il divieto di alienare (…) non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo». Così, ad esempio, rispetto ai patti che pongono limiti al trasferimento delle partecipazioni nella società, i convenienti limiti di tempo potranno essere parametrati al termine quinquennale sancito nell’art. 2341-bis cod. civ.

Un’ultima precisazione: se i sindacati di voto, di blocco o di controllo riguardano S.r.l. che acquistano il controllo di S.p.A., essi debbono comunque avere la durata massima di 5 anni (rinnovabili alla scadenza) oppure, se a tempo indeterminato, devono consentire a ciascun socio di recedere dall’accordo previo preavviso di 180 giorni, così come previsto dall’art. 2341-bis cod. civ.

Come sopra accennato, le norme sancite nel Codice Civile si applicano alle S.p.A. non quotate; infatti, per quanto attiene le società quotate nei mercati regolamentati, una normativa ad hoc è contenuta nel D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (artt. 122 e 123) che, tra gli altri aspetti, sancisce specifici obblighi di comunicazione nei confronti della Consob.

I patti parasociali

EFFICACIA DEI PATTI PARASOCIALI

Trattandosi di veri e propri contratti di diritto privato, i patti parasociali producono effetti solamente tra le parti che li sottoscrivono (c.d. efficacia meramente obbligatoria).
È però possibile che il socio pattista non adempia agli obblighi nascenti dall’accordo parasociale, perché, per esempio, esprime in assemblea un voto difforme da quanto stabilito nel sindacato di voto, oppure cede le azioni a soggetti terzi e non agli altri aderenti al patto a cui avrebbe dovuto offrirle in prelazione. Ebbene, l’eventuale inosservanza dell’accordo, nella prima ipotesi, non potrà costituire motivo di impugnazione della delibera assembleare assunta in violazione del sindacato di voto; nella seconda, non potrà determinare l’invalidità del trasferimento delle azioni avvenuto in violazione del patto di prelazione e non potrà impedire alla società di iscrivere il nominativo del terzo acquirente nel libro dei soci.

Avendo efficacia meramente obbligatoria, gli obblighi derivanti dal patto parasociale non sono suscettibili di esecuzione in forma specifica, mediante decisioni giudiziarie aventi effetti costitutivi ai sensi dell’art. 2932 c.c.; al contempo, tali obblighi non sarebbero neppure suscettibili di condanne risarcitorie in forma specifica.

La trasgressione di tali patti farà sorgere dunque, esclusivamente, l’obbligo a carico della parte inadempiente di risarcire i danni eventualmente arrecati agli altri soci partecipanti al sindacato, purché i soci danneggiati provino e quantifichino in giudizio il danno subito a causa dell’altrui violazione del patto.
Per ovviare a tale inconveniente e conferire maggiore solidità al patto parasociale, è frequente la pattuizione di una penale, consistente in una somma predeterminata di denaro che l’inadempiente si impegna a versare a favore dell’altra parte in caso di violazione dell’accordo, a prescindere dalla prova del danno subito e in assenza di un giudizio civile.

L’efficacia meramente obbligatoria del patto parasociale è il tratto che più lo caratterizza e lo contraddistingue dalle pattuizioni che i soci, invece, inseriscono direttamente nell’atto costitutivo o nello statuto della società. Tra le convenzioni statutarie più diffuse figurano le clausole di gradimento e le clausole di prelazione che, in questo caso, assumono non solo efficacia obbligatoria, ma anche efficacia reale: ciò significa che la clausola di prelazione statutaria sarà opponibile al terzo che ha acquistato le azioni, nei confronti del quale potrà farsi valere l’inefficacia della cessione avvenuta in violazione della stessa (Tribunale di Napoli, 3.12.2013).

Anche la Suprema Corte ha più volte ribadito che il patto di prelazione inserito nello statuto di una società di capitali, poiché preordinato a garantire un particolare assetto proprietario, ha efficacia reale e in caso di violazione è opponibile al terzo acquirente (da ultimo, Cass. civ. 2.12.2015, n. 24559).

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