L’ultimo revirement della Suprema Corte

A distanza di qualche settimana dall’ultima sentenza (oggetto di commento nella news del 5 febbraio scorso), la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul falso valutativo, consistente nell’esposizione nei bilanci, nelle relazioni e nelle altre comunicazioni sociali, di fatti materiali, oggetto di valutazioni estimative, non rispondenti al vero (si pensi, per esempio, al valore con cui i beni immobili o le partecipazioni sociali sono iscritte nel bilancio d’esercizio).

La questione era sorta dopo che la Legge n. 69 del 2015 aveva rimodellato il delitto di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 c.c., sopprimendo ogni riferimento alle valutazioni.

Il falso valutativo

Con la sentenza n. 6916 depositata in data 22 febbraio 2016, la Corte rileva che, mentre in passato le false comunicazioni sociali potevano riguardare anche dati contabili risultanti da valutazioni, purché basate su fatti materiali (cioè su realtà economiche oggettivamente esistenti), l’attuale testo normativo esprime la chiara intenzione del legislatore di escludere la rilevanza penale del falso valutativo.

In netto contrasto con quanto dichiarato nella precedente sentenza n. 890 del 2016, ma in continuità con quanto sancito nella pronuncia n. 33774 del 2015, il Supremo Collegio afferma che il nuovo reato di false comunicazioni sociali si configura esclusivamente in presenza di fatti materiali falsi e che, di contro, il falso valutativo deve ritenersi penalmente irrilevante.

La vicenda decisa dalla Corte sorge dal ricorso proposto da un istituto di credito avverso un provvedimento di sequestro preventivo emanato nei suoi riguardi a fronte della contestazione dell’illecito amministrativo di cui al D. Lgs. n. 231/2001, dipendente dalla commissione del reato di false comunicazioni sociali, poiché – stando a quanto affermato dall’Accusa – nei bilanci compresi tra il 2010 ed il 2012 erano stati esposti valori oggettivamente e palesemente non corrispondenti alla realtà, nonché un valore di crediti indicati come certi (ossia di sicuro realizzo) nonostante in relazione ad essi pendesse un contenzioso.

Presupposta l’irrilevanza penale del falso valutativo, la Cassazione ritiene che nella vicenda in oggetto «non si è trattato della rappresentazione nei bilanci di valori potenzialmente oggetto di possibili valutazioni opinabili, quanto piuttosto della rappresentazione in bilancio di fatti oggettivamente non esistenti e dunque falsi».

Nel caso di specie, dunque, le condotte contestate integrerebbero il delitto di false comunicazioni sociali anche alla luce del nuovo testo dell’art. 2621 c.c., trattandosi di fatti materiali oggettivamente falsi.

Di particolare interesse è poi l’elenco esemplificativo delle poste di bilancio riferibili ai fatti materiali non oggetto di valutazioni, che la Corte richiama al fine di dimostrare come le stesse siano tutt’altro che esigue.

Il falso valutativo

Costituirebbero fatti materiali idonei ad integrare il reato di false comunicazioni sociali:

– i ricavi falsamente incrementati ed i costi non appostati;
– le false attestazioni di esistenza di conti bancari;
– l’annotazione di fatture emesse per operazioni inesistenti;
– l’iscrizione di crediti non più esigibili per l’intervenuto fallimento di debitori in mancanza di attivo;
– la mancata svalutazione di una partecipazione in una controllata della quale sia stato dichiarato il fallimento;
– l’omessa indicazione di un debito per il quale sia in corso un contenzioso in cui la società è soccombente etc.

La sentenza in commento si aggiunge alle altre che escludono la rilevanza penale della rappresentazione di fatti materiali frutto di mere valutazioni estimative.

Tuttavia, vista l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrapposti, è probabile (ed auspicabile) che a breve le Sezioni Unite vengano chiamate a pronunciarsi sull’argomento, chiarendo gli esatti confini dell’art. 2621 c.c.

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