Come già illustrato nel nostro articolo del 12.06 u.s., nei giorni scorsi Confindustria ha fornito alcune utili indicazioni in tema di responsabilità amministrativa degli enti ai tempi dell’emergenza sanitaria.

Affrontando l’argomento, Confindustria è arrivata ad affermare che è ragionevole escludere profili di responsabilità, anche sotto il profilo 231, in capo al datore di lavoro e all’impresa che abbiano adottato e concretamente implementato le misure anti contagio prescritte dalle Autorità pubbliche.

L’impostazione, del tutto condivisibile, è – come rilevato da Confindustria stessa – in linea con quanto già affermato dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e dall’INAIL, nonché con la disposizione introdotta con la legge di conversione del decreto c.d. Liquidità.

Ed infatti:

  • Il Ministero del Lavoro, in risposta ad un’interrogazione parlamentare del 5 maggio scorso aveva affermato che “… la diffusione ubiquitaria del virus Sars-CoV-2, la molteplicità delle modalità e delle occasioni di contagio e la circostanza che la normativa di sicurezza per contrastare la diffusione del contagio è oggetto di continuo aggiornamento da parte degli organismi tecnico-scientifici che supportano il Governo, rendono particolarmente problematica la configurabilità di una responsabilità civile o penale del datore di lavoro che operi nel rispetto delle regole. Una responsabilità sarebbe, infatti, ipotizzabile solo in via residuale, nei casi di inosservanza delle disposizioni a tutela della salute dei lavoratori e, in particolare, di quelle emanate dalle autorità governative per contrastare la già menzionata emergenza epidemiologica
  • L’INAIL, con la circolare n. 22 del 20 maggio scorso, ha chiarito che il riconoscimento delle infezioni da Covid-19 dei lavoratori come infortunio sul lavoro non comporta automaticamente l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro. Non possono, infatti, confondersi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo INAIL (si pensi ad un infortunio in “occasione di lavoro”, che è indennizzato anche se avvenuto per caso fortuito o per colpa esclusiva del lavoratore) con i presupposti per la responsabilità civile e penale che devono essere, invece, rigorosamente accertati con criteri diversi. In questi casi, infatti, oltre alla prova del nesso di causalità occorre anche quella dell’imputabilità, quantomeno a titolo di colpa, della condotta tenuta dal datore di lavoro. Per tale ragione, ha affermato l’INAIL, la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o degli obblighi previsti da Protocolli e Linee guida governativi e regionali.
  • Con la legge di conversione del decreto c.d. Cura Italia, è stata approvata una disposizione (l’art. 29-bis) che chiarisce che i datori di lavoro adempiono agli obblighi di cui all’art. 2087 c.c. (norma che impone all’imprenditore di adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro) mediante l’applicazione e il mantenimento – e quindi la corretta implementazione nell’operatività aziendale – delle misure anti contagio previste dai Protocolli di sicurezza.

Una concreta ed effettiva compliance aziendale diventa, quindi, ancora una volta fondamentale non solo per garantire un’adeguata tutela della salute dei lavoratori, ma anche per escludere profili di responsabilità dell’impresa.

In ambito 231 tutto ciò trova applicazione nell’insieme dei presidi e dei protocolli implementati dall’impresa per mitigare il rischio di commissione dei reati presupposto e delle specifiche misure anti contagio legate al Covid-19, nonché nel meccanismo dei controlli e dei flussi informativi da e verso l’OdV e la continua interlocuzione tra questo, i vertici e i presidi aziendali preposti.