Non pochi i casi di licenziamenti disciplinari invalidati in sede giudiziale perché l’infrazione del lavoratore, seppure accertata e ritenuta passibile di provvedimento espulsivo, è stata contestata tardivamente.

Al verificarsi di tale fattispecie, dottrina e giurisprudenza hanno però molto dibattuto su quale fosse la tutela spettante al lavoratore illegittimamente licenziato nell’ipotesi di rapporto soggetto al regime di cui all’art.18 L. n.300/1970: quella reintegratoria oppure quella indennitaria?

A risolvere la questione sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 30985/2017, depositata lo scorso 27 dicembre 2017, sancendo l’applicabilità della tutela indennitaria.

La Suprema Corte ha, infatti, precisato che “sussistendo l’inadempimento posto a base del licenziamento, ma non essendo tale provvedimento preceduto da una tempestiva contestazione disciplinare a causa dell’accertata contrarietà del comportamento del datore di lavoro ai canoni di correttezza e buona fede, la conclusione non può essere che l’applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, comma 5”, norma che prevede il pagamento in favore del dipendente licenziato di un’indennità risarcitoria in misura compresa tra le 12 e le 24 mensilità.

In sostanza, la sola ed anche ingiustificata tardività della contestazione di un gravissimo inadempimento del lavoratore non esclude la sussistenza del fatto comunque disciplinarmente rilevante, con conseguente inapplicabilità della tutela reintegratoria.

 

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